Hanno detto che la vita è come una
ruota e ad ogni giro avviene qualche cosa di nuovo. La ruota
della mia vita è nata un po' bitorzoluta
ma nei
suoi giri storti non sono mai mancate le novità. Ora,
iniziando l'anno 2004, mi appresto a vederla ancora girare
per il mio 60° anno d'età.
Mi domando: "Quale novità porterà questo
nuovo anno di vita?". Anche se sono un mago, non ho il
potere di conoscere il mio destino; tuttavia, bella o brutta
che sia la novità della mia vita futura, credo di dover
ringraziare il buon Dio per gli stupendi imprevisti accaduti
fino ad ora e per tutte le vicende future.
In fondo la vita per me è stata ed è una stupenda
avventura, vissuta tra sorprese e magie, a volte un po' dolorose,
ma sempre affascinanti. Confesso di aver usato più
l'incoscienza che la sana preveggenza. Ho seguito più
le vie del cuore che quelle della ragione. Sono stato insofferente
di molte regole
a volte anche di quelle della vita religiosa
ma non ho mai rinunciato di aiutare un piccolo della terra,
anche solo annullando, per un istante, la sua paura e il suo
dolore sostituendolo con un sorriso per una magia donata.
Se dovessi raccomandare qualche casa a un mio amico, gli raccomanderei
la mia vita
quella passata come quella presente. Sono
contento di aver scelto di "fare" l'artista mago
e di aiutare così i piccoli della terra. Sono contento
di "essere" prete e salesiano. Questa non è
stata certo una mia scelta. E' stata una grazia di Dio e di
Don Bosco
Tutti due dovevano avere una grande incoscienza
per scegliere me.
Sono ancora tentato a pensare che, per un inspiegabile patto
con la sorte, il tempo della mia vita non sia mai passato.
Sono nato piccolo e sono rimasto piccolo. Ricordo il mio primo
gioco: una scatola di giuochi di prestigio. Appena aperta
mi sono messo a fare magie e da allora ad oggi non l'ho mai
chiusa. Magari è stata aperta solo nella mia mente,
quando i divieti e la necessità me lo impedivano. Ora,
a distanza di molti anni sono ancora lì che ci gioco
e non mi pento.
Sono contento di esistere e di vivere così. Amo la
vita e tutto quello che ci sta attorno.
Ringrazio i tanti che mi hanno aiutato a vivere la stupenda
avventura della vita: i miei genitori, mio papà, Aldo,
che non mi ha impedito di fare le scelte della mia vita e
ha presentato il mio primo spettacolo ufficiale; mia mamma,
Maria, che mi ha accompagnato all'altare di Dio e al sacramento
della carità; mia sorella. Daria, che ha barattato
la sua libertà con la mia, restando vicino alla malattia
dei miei genitori; il mio vicino della porta accanto, Francesco,
che mi ha regalato la prima scatola di giochi di magia; il
bambino brasiliano, Paolino, incontrato nel mio primo viaggio
per il mondo, che mi ha detto "Grazie" con un sorriso.
Ringrazio gli amici prestigiatori che mi hanno insegnato la
pazienza di inseguire un'illusione con l'arte della magia;
i tanti benefattori che hanno contribuito a realizzare progetti
e aiuti verso i poveri più piccoli, trasformando il
sogno in realtà. Grazie a tutti i miei attuali collaboratori
che, mettendo da parte invidie e pettegolezzi, dicono: "Oggi,
cosa c'è di nuovo da fare?". Grazie ancora a tutte
le persone: donne, uomini. bambini, confratelli e suore a
cui mi sono affezionato e hanno avuto il coraggio di trattare
un prete come un amico e dirmi: "Ti voglio bene".
Questa frase mi ha dato il coraggio di affrontare critiche
e invidie, minacce e dissapori, insuccessi e perdite di persone
care
Dico grazie anche a quelli che, forse in
buona fede, hanno cercato di ostacolarmi nelle mie scelte
di vita, impedendomi di fare il mago, non certo di essere
prete e religioso. Inconsapevolmente mi hanno fatto capire
l'importanza di valori, quali il distacco affettivo dalle
cose materiali. Inoltre hanno dato sapore e gusto ai piccoli
successi ottenuti come una conquista, non come un freddo regalo.
Hanno radicato in me la convinzione che si può sempre
ricominciare
ogni giorno, ogni anno
. anche ora
che ho 60 anni.
La pensione può attendere
Il Paradiso no
Se da questa vita nessuno ne esce mai vivo, che la morte mi
trovi vivo più che mai. Questa è la più
gran magia che auguro a tutti voi.
1944. 22 gennaio, primo giorno del calendario buddista.
Nasco sotto il segno dell'Acquario
naturalmente da
mia madre. In seguito diranno che mi hanno trovato sotto un
cavolo nell'orto chiamato "Ciabot" a Novello, dove
mio nonno è sindaco da più di trent'anni. Questa
fu la mia prima educazione sessuale
In seguito non ricevetti
smentite o aggiornamenti.
1945. Una pattuglia di tedeschi compie una retata per
punire il gesto di un partigiano che aveva sparato su un plotone
di passaggio. Io vengo preso con mia madre e messo al muro.
Mi dissero che non piansi
pensavo che tutto fosse un
gioco e sorrisi al tedesco che comandava l'esecuzione. Questo
bastò a salvare me, mia mamma e il gruppo ormai rassegnato.
Il Signore o forse un gesto di cuore o meglio un disobbedienza
stabilì che si doveva e si poteva vivere in pace.
1946. Finisce la guerra. Si parte per Torino. Al paese
prendevo il latte da una capra, che travestivano da nonna
papera per paura che fosse rubata dai tedeschi o dai partigiani.
A Torino, incominciai a mangiare più sofisticato: polenta
con contorno di carne di capra. Allora mi sentii molto orfano.
1946. Frequento il primo anno di asilo già
all'età di due anni. Era naturale. Condividevo l'affetto
di nonni e genitori con mia sorella di nome Daria di un anno
più matura di me. Allora quello che andava bene per
lei, doveva andare bene anche per me. Mi sembrava di essere
un'offerta speciale del supermercato: prendi due e paghi uno.
Così già all'età di sei anni venni preparato
per fare la prima comunione e la cresima
naturalmente
insieme a mia sorella. I miei erano convinti di risparmiare,
anche solo sulla fotografia.
1950. Primo giorno di scuola. Non ricordo nulla se
non il set di matite colorate marca Carandage, regalate da
zia Luigina. La mia vita cominciava a prendere colore. Zia
Luigina sembrava rappresentare il modello tipico di una eroina
da libro "Cuore". Era maestra e zitella, quanto
bastava per essere onorata dai grandi della famiglia e sopportata
dai piccoli come me. Infatti la zietta proiettava in me la
realizzazione dei suoi sogni infranti di diventare
preside o direttrice scolastica. Io invece non pensavo assolutamente
di far carriera scolastica, anche se, a differenza di molti
miei coetanei, a me piaceva molto "andare a scuola"
Anche "tornare da scuola" piaceva molto
Quello
che stava in mezzo, tra l'andare e il tornare, non era di
mio gradimento. La scuola sarà sempre per me come una
medicina amara
peggio dell'olio di ricino, ma, in seguito,
come ogni purgante somministrato al tempo giusto, mi farà
molto bene. Ora cerco di salvare i bambini del mondo dalla
strada, creando per loro borse di studio. Molti chiamano questo
progetto: adozioni a distanza.
Le bocciature furono il mio blasone di ignominia. Ne raccolsi
tre e pensai di entrare nel guinnes dei primati.
Ero molto timido, impacciato, imbranato. Come succede a tutti
i ragazzini, mi ero innamorato di una bambina, vicina di casa,
ma non mi dichiarai mai. Volevo diventare avvocato, ma in
aula
"scolastica" facevo sempre silenzio.
Il mio carattere divenne fonte di preoccupazioni, per i miei
genitori. Mia madre ricorse alle medicine e alla religione:
sciroppi a base di calcio e candele accese a Santa Rita, la
santa degli impossibili. Poi una sera, mio papà, ragioniere,
mi portò con se ad una seduta di condomino e li imparai
tante parolacce. Le ripetei in famiglia e ricevetti un sonoro
ceffone. La mia entrata nella società era traumaticamente
cessata. Usai l'arma della fantasia per sopravvivere. Questa
mi sarà compagna per tutta la vita. Avevo la mia camera
dei segreti dove solo io conoscevo la password.
Siccome mia madre mi diceva sovente: "Sparisci
sparisci!", incomincia a pensare che da grande avrei
fatto il mago.
1955. Intraprendo gli studi classici
Allora
iniziavano con la prima media. Scuola Giovanni Pascoli di
Torino. Studio del latino: "Mens sana in corpore sano".
Per me la "sanità" fu solo di corpo, infatti
fui bocciato in tutte le materie
eccetto in ginnastica.
Questo mi fu utile per scansare i ceffoni dei miei genitori.
Poi
la quiete dopo la tempesta. Il mio destino era segnato.
Venni iscritto a suola dai Salesiani.
Per tre anni tutto andò bene
eccetto la fuga
con il circo.
1957. Durante l'estate a Novello, paese dei nonni,
materni, venne il circo Camillo: in tutto tre artisti e quattro
animali, ma sembravano un cast compiuto. Il proprietario,
Camillo era un fachiro: si faceva sotterrare prima dello
spettacolo. Poi percorrendo un passaggio sotterraneo, spuntava
da dietro le quinte e compariva vestito da clown. Nel secondo
tempo, non potendo fare la danza del ventre, per ovvi motivi,
si travestiva da cosacco e faceva il domatore di capre. Al
termine dello spettacolo si tuffava nuovamente nel passaggio
segreto e veniva
dissotterrato tra gli applausi del pubblico. Un successo.
Dopo due giorni, quando il circo lasciò il paese. Mi
nascosi nel carrozzone con un'ansia di libertà mai
provata prima. Il sogno durò poco. Camillo era un brav'uomo,
non un negriero. Dopo due ore ero nuovamente a casa dai nonni
e nessuno, per anni, seppe mai nulla della mia prima scappatella.
1957. Nasce il mago "Mandrake". Così
mi chiamai, quando allestii il mio primo spettacolo di magia.
Mi ero preparato accuratamente. Avevo preso in prestito un
vecchio piviale dalla sagrestia del paese e mi ero messo in
capo un logoro copricapo berbero, trovato in soffitta, insieme
alle spallina da caporale di zio Giacomo. La prima prova fu
davanti al grande specchio della camera da letto dei miei
genitori. Allora mi sembrava di essere grande
Ora, che
grande lo sono, continuo a fare gli stessi giochi e mi sembra
di essere piccolo.
Ma veniamo alla mia prima.
Se, giustamente si dice che chi ben comincia è a metà
dell'opera, io penso di non aver mai visto la mia prima opera
Anzi non la vide proprio nessuno. Il pubblico fu completamente
assente al mio debutto. Mi consolai pensando di averlo fatto
sparire
e mi convinsi di avere dei poteri.
Nello stesso anno venne ad abitare nel nostro condominio a
Torino, Francesco Corradi, n taxista che scriveva poesie,
suonava la chitarra e faceva giochi di prestigio con le carte.
Diventammo subito amici e mi trasmise la sua passione per
il gioco dello scopone, insegnandomi alcuni basilari trucchi
con le carte. In poche parole mi insegnò a barare.
Facevamo coppia fissa nei vari retro bar del quartiere. La
vincita era a volte la sola consumazione, ma la gioia di riuscire
primi era di gran lunga superiore alla soddisfazione dei pochi
spiccioli guadagnati. Di pari valore era la delusione dei
perdenti che non riuscivano a capacitarsi come un pivello
di
adolescente c come me potesse risultare sempre vincente al
re dei giochi di carte: lo scopone scientifico. Questo carosello
di avversi sentimenti sarebbe durato a lungo se, per il troppo
zelo, un giorno non feci apparire non uno, ma tre sette belli.
Era evidente che si barava. Ancora una volta la fuga fu la
nostra salvezza
o meglio la mia.
Francesco, non più fresco negli anni e nei riflessi,
fu preso e venne costretto a ingoiare un set completo di denari
dall'asso al re. Era però un mago e sbalordì
tutti perché riuscì a fagocitare dalla bocca
un servizio di primiera, escluso il sette bello. Quello disse
che lo avrebbe prodotto il giorno dopo e
non vi riferisco
come
1959. Termino il triennio dai salesiani all'istituto
San Paolo di Torino. Terza media: promosso a giugno
Un avvenimento da celebrare. Ricevetti due premi: una bicicletta
e l'iscrizione al primo anno del ginnasio al top delle scuole
di Torino: il liceo classico di Valsalice, sempre dei Salesiani.
Capii che, in entrambi i regali, avrei dovuto faticare. La
mia vita da adolescente maturo si presentava in ascesa ma
non era attrezzata con impianti di risalita.
A scuola, alla fatica del latino, si aggiunse quella del greco;
un'altra lingua morta ed io ne divenni il killer. Nel primo
compito in classe presi un voto che sfiorava le centinaia:
54 sotto zero. Il professore mi disse che avevo assassinato
il greco e il latino.
A nulla valse prendere ripetizioni quattro volte la settimana
Avrei fatto meglio a iscrivermi ad un corso per sopravvivenza
o meglio "indifferenza" ai consigli dei miei professori.
Mi dissero che non avrei mai combinato nulla di buono nella
vita, che ero il disonore di quella scuola benemerita
che non trattenevo nulla di quello che mi veniva insegnato.
Anticipando un principio di quello che sarà la società
dei consumi, incominciai ad avere il complesso del "vuoto
a perdere". Pensai al suicidio e volevo farlo in modo
"colossal" non certo banale. Ma prima ero deciso
a far vedere a tutti gli uccellacci del malaugurio che nella
vita ognuno è importante e ha il diritto di esserlo.
In seguito capii che a guidare quel periodo buio della mia
esistenza non erano le avversità, tanto meno le incapacità
e il mio giusto orgoglio di essere importante, ma una seconda
esistenza che stava nascendo dentro di me senza stipulare
contratti di locazione, senza sfrattare il Silvio pigro, fantasioso,
incapace, insicuro, un po' sensuale e molto bambino. Questa
nuova presenza non era frutto della mia fantasia. Era reale,
come gli scapaccioni di papà, come le lacrime di mia
madre, e veniva a cambiare, meglio a salvare la mia vita.
Da sempre il buon Dio vegliava su di me, ma non me ne ero
mai accorto, perché pensavo di avere tutto: salute,
amici, affetto
Poi più nulla e mi sentii solo
solo di Te: felicissimo vuoto
nulla pieno di tutto
pieno di Te e imparai ad essere paziente secondo l'insegnamento
del nonno che mi diceva: "Tutto passa, eccetto l'autobus
che stai aspettando per andare al lavoro".
Così quel brutto anno passò e io raccolsi la
mia seconda bocciatura e passarono due anni senza storia
tra arcobaleni nascosti e cieli bui, terre sommerse e oceani
profondi, tiepidi mattini e sere d'inverno. Mi rinchiusi al
mio presente in un stanza mia e ne divenni padrone, nascondendo
le entrate.
E tu bussasti alla porta, viandante, ospite senza fretta;
mio destino, mia vita, mio tutto mio Dio.
1963. La vita è mistero e
noi ne conosciamo solo una parte; è come la punta di
iceberg, come un trucco di magia ben fatto, meglio come un
puzzle che si compone strada facendo e in questo gioco di
tessere ora ne siamo attori, ma più sovente ne siamo
spettatori. All'inizio della vita ci vengono regalate solo
alcune tessere che possiamo mettere dove vogliamo. Altre ci
piovono dal cielo e non ci chiedono certo il permesso di sistemarsi
qua o là. Altre infine fluttuano
a mezz'aria e tocca a noi prenderle o lasciarle lì
. Una volta afferrate, però, dettano le regole del
gioco. Fuori dalla metafora, queste ultime tessere rappresentano
la Vocazione per cui ognuno di noi è chiamato a vivere
nel mondo.
La mia Vocazione si presentò in una notte di maggio,
in sogno, quando avevo 19 anni e pretese di cambiare la mia
vita. Venne in alta uniforme, con tutte le credenziali a posto
e mi disse: "Sveglia, dormiglione
andiamo a conoscere
e ad amare il mondo. La vita e una sola
rischiala con
me".
In seguito identificai la mia "Vocazione" con la
figura del medico condotto del mio paese, dottor Dagnino,
che, morta la moglie, si fece missionario della Consolata
e andò in Africa a fare il prete e il medico
in pratica a salvare la propria vita, facendo del bene al
prossimo.
Quel gioco d'azzardo mi piacque.
In fondo che avevo da perdere? Nulla.
Cosa potevo guadagnare: Tutto!
E poi ero e ne sono convinto tutt'ora che la Vocazione viene
da Dio. Capii che dovevo essere Missionario e prete. Detto
e fatto. Scrissi un breve lettera ai miei genitori, per avvisarli
che era arrivato il "Padrone di Casa" per riscuotere
"l'Affitto del loro figlio" e dopo averla lasciata
sotto la tazza di caffelatte appena assaggiato, scappai di
casa
per la seconda volta. Ero contento e mi sentivo rinascere,
ma non sapevo dove andare
perciò scelsi la direzione
più usuale che si deve prendere in questi casi: entrai
in una chiesa e mi misi in ascolto, recitando assurde preghiere.
Del resto tutto mi appariva illogico e logico nello stesso
tempo
L'istante diventava eternità, una goccia
era un oceano e io mi perdevo in quella stupenda immensità.
Non so quando durò quella sensazione e situazione.
Quando uscii dalla chiesa era sera avanzata e entrai nella
stazione. Mi piaceva vedere i treni partire e arrivare
e li incontrai mio padre. Anche lui sapeva del mio posto segreto.
Insieme a lui c'era don Brossa, il mio insegnante nelle medie
di via Luserna a Torino
Salesiano e
così
fui Salesiano.
15 agosto 1963. Commemorazione della
nascita di san Giovanni Bosco. Entro in Noviziato dai Salesiani
a Monte Oliveto, presso Pinerolo. Resterò un anno esatto.
Quello che mi rallegrava maggiormente era il sapere che non
si doveva andare a scuola
tanto meno si era interrogati.
E poi aleggiava quel senso di familiarità e di sana
allegria che contraddistingue sempre ogni casa salesiana.
A tali soddisfazioni facevano da contrapartita alcuni doveri
tipicamente salesiani: il gioco collettivo alla palla durante
la ricreazione (il divertimento consisteva nel correre da
un angolo all'altro del cortile e non farsi colpire da un
palla da tennis lanciata a folle velocità dall'assistente
del gruppo. Indovinate chi veniva sempre colpito per primo.
Mi sembrava di essere un birillo alla fiera dell'est); fare
la doccia due sole volte al mese in tre minuti (tempo calcolato
per non cedere alle possibili tentazioni della carne. Il record
di era di un certo Umberto: 38 secondi e 2 decimi: un primato
da formula uno. Come faceva
Semplice
non si lavava, ed io che ero il suo vicino
di banco vi posso assicurare che era proprio così);
mangiare
tutto quello che veniva servito a tavola
compresi i
finocchi cotti (io ci provai e vomitai tutto nel piatto del
vicino
Siccome la cosa non fu gradita
e non solo
dal vicino di tavola
si incominciò a fare intelligenti
eccezioni); eseguire canti polifonici a otto voci quando non
si era più di 12 elementi. Io che non brillavo né
da basso, né da tenore
anzi non brillavo proprio,
tenevo la bocca chiusa. Una voce in meno nessuno l'avrebbe
notata. Invece il maestro di musica fu di tutt'altro avviso.
Mi scusai, dicendo che ero ventriloquo e riuscivo a elaboravo
una voce quasi simile a quella di Farinelli il "castrato
di Dio". Siccome a nessuno piaceva essere preso in giro
tanto meno a don Mitolo, il maestro di musica sacra, fui estromesso
dal coro e mandato in biblioteca a foderare i libri.
Indovinate il primo libro che mi capitò tra mano? Un
mini-manuale sui giochi di prestigio: "Ore serene"
edito dalla Elle Di Ci. Non ebbi ripensamenti, nemmeno crisi
di identità. Nella casa c'era un laboratorio di falegnameria
e meccanica, così mi industriai a costruire i miei
trucchi, che presentai nel teatrino dell'istituto davanti
ai ragazzi dell'oratorio. Non fu un successo da star
ma nemmeno un disastro da "paperissima".
Intanto un anno era passato e il 15 agosto del 1964, feci
i primi voti religiosi e divenni Salesiano a tutti gli effetti.
1964. Partenza per Foglizzo
la fabbrica dei chierici
Niente a che vedere con Montecarlo
o con Acapulco. E poi dicono che i posti più belli
della terra sono occupati da conventi
A Foglizzo, paese
del Canavese, sommerso dalla nebbia per sei mesi l'anno e
per il resto invaso da eserciti di zanzare non era quello
che possiamo definire un "ridente" paesino; tuttavia
si era contenti di stare li. Ovunque era presente lo spirito
di don Bosco e l'allegria non mancava mai.
Passai tre anni stupendi della mia vita. In tutte le attività
ero diventato un fenomeno
anche se da baraccone. Ai
successi
scolastici alternavo quelli nell'arte magica e naturalmente
nella vita religiosa
Incominciava a delinearsi quella
figura mista di uomo, di mago e di prete che creerà
tanta meraviglia e un po' di disturbo attorno a me. Nel campo
scolastico operai miracoli: feci tre anni in uno e mi diplomai,
a pieni voti, maestro elementare della repubblica italiana.
Ogni domenica andavo ad animare i giovani nell'oratorio di
San Benigno. E qui, insieme all'amico Carlo Montrucchio, fondai
il mio primo circolo di magia, chiamato Circolo Magico don
Bosco, in onore di questo grande santo che da piccolo faceva
giochi di prestigio e da grande operava miracoli. Questa è
la solita concorrenza sleale dei santi. Mago Sales, che santo
non è, anche da grande, continua a fare solo giochi
di magia.
1966. Vengo iscritto al circolo magico
italiano, dove conosco i primi veri grandi artisti del trucco.
Presidente onorario era il commendator Raniero Bustelli che
si entusiasmò subito al mio entusiasmo. Anche se la
sede del circolo era a Torino, a me non era ancora permesso
uscire dal convento. Mi venne in aiuto mio padre, il quale,
per amor mio, non certo della magia, assisteva alle lezioni
di trucco per poi riferire al sottoscritto in seconda seduta.
Mio padre mi aiutò pure nel mio primo spettacolo ufficiale
a Novello, nel teatrino dell'Asilo parrocchiale, facendo da
presentatore ed esordì dicendo: "Al vostro applauso,
qui a Novello, il novello mago novellese: Mandrake".
Mai l'eroe dei fumetti di Falk e Davis era caduto
così in basso. Siccome non venni citato sui giornali
o in televisione non ricevetti nessuna denuncia per cattivo
plagio di nome d'arte, ma decisi di attribuirmi un nuovo nome
che avrebbe caratterizzato il mio fare magia per i giovani.
Siccome avevo conosciuto un Orionista: Augusto Greppi, bravissimo
mago che veniva presentato come "mago Orione", essendo
io Salesiano pensai che era logico essere il mago Sales.
In quegli anni alternavo allo studio del latino e della filosofia,
la pratica dei giochi di prestigio a cui mi esercitavo in
gran segreto, non tanto per non rivelare i trucchi, ma a motivo
di una regola del seminario che non permetteva di praticare
hobby personali. Trovai mille espedienti e divenni ben presto
un "agente segreto" della magia. Nascondersi nei
gabinetti del cortile o tenere le mani sotto il banco durante
le noiose lezioni di apologetica o ancora rovistare sotto
le coperte a letto, quando venivano spente le luci nella camerata,
mi fece diventare esperto nelle più difficili manipolazioni,
ma insospettì il consigliere (il religioso incaricato
della disciplina e dell'animazione), il quale pensò
a cose turpi e, complice il demonio, a cedimenti della carne.
Così un sera, dopo che furono spente le luci della
camerata, vedendo muoversi le coperte in direzioni della mie
parti "innominabili", venne di soppiatto accanto
al mio letto e con fare deciso, simile al gesto del torero
che trafigge il tono nell'arena, scaraventò per aria
coperte e lenzuola.
Naturalmente
volò per aria un "serraglio" di attrezzi,
quali palline colorate, carte da gioco, fiori di plastica,
ecc. Conclusione della serata: divertimento gratuito per i
componenti della camerata, "scornacchiamento" del
Consigliere e
"ostracismo del sottoscritto dalla
camerata verso il bagno del pianerottolo. Naturalmente, nella
confusione dell'avvenimento, avevo avuto l'accortezza di portare
con me alcuni attrezzi del mestiere, così quella notte
feci straordinario e imparai il trucco del "tornichetto"
e dell'impalmaggio rovesciato.
1967. Iniziai il tirocinio, in cui
avrei dovuto esercitare, per tre anni, la pratica e le virtù
apprese in seminario. Considerata la mia non più giovanissima
età, mi venne "scontato" a due.
In quel periodo di "saldi" feci tantissime cose
pratiche: da insegnante di matematica, geografia, applicazioni
tecniche e scienze nelle medie e nel ginnasio degli istituti
di Peveragno, vicino a Cuneo e di San Benigno Canadese, ad
animatore di gruppi, a scrittore di testi
teatrali tipo "Io, te e
i crisantemi", ad
assistente di collegio.
La mia giornata era piena di attività e di creatività.
La mia preghiera erano i giovani. Io volevo loro bene e loro
volevano bene a me
e in questo scambio di cuori io mi
trovavo libero e ricco. Unica pecca era la disciplina e l'ordine.
Di queste due qualità umane non ne sono mai stato padrone.
Un tempo davano preoccupazione a me e ai miei superiori
Ora, che mi sono accettato così come sono, danno problemi
solo più ai superiori.
A proposito di superiori, dovete sapere che si dividono in
due categorie: o santi o poco intelligenti, cioè ignoranti
e quelli che ho avuto io, tolte alcune eccezioni, non si poteva
certo dire che fossero santi.
In quei due anni non feci molti esercizi di magia
anche
perché un direttore che aveva un nome simile a una
famosa marca di cioccolatini, me ne proibì l'esercizio,
ma non provai enorme dispiacere. La mia vita con i giovani
e con Dio era già magica così.
1969. Anno della contestazione europea.
Inizio gli studi di teologia. Avevo chiesto di andare in un
paese straniero per impararne la lingua: mi mandarono a Napoli,
o meglio a Scanzano, allora feudo di Gava, Lauro e Don
Martinelli
il mio superiore religioso. Furono quattro
anni di intenso studio della religione. Mi buttai a capofitto
sui libri. Ne riuscivo a leggere uno al giorno.. e ad ogni
pagina di appassionata lettura aumentava in me l'amore per
il Dio non dei filosofi o dei ragionieri del mondo, ma per
il Dio, Padre della storia
Padre di Abramo, di Isacco,
di Giacobbe, di Gesù e Padre nostro
Padre mio.
Nonostante la distanza dai miei luoghi natii, un cordone ombelicale
mi legava sempre ad essi ed era un legame molto "odoroso":
ogni mese mi veniva spedito, per posta, dai miei genitori
un barattolino di "bagna cauda" un intingolo piemontese
a base di aglio e acciughe, talmente "poderoso"
da obbligare il verme solitario di ogni assaggiatore a chiedere
asilo politico altrove. Ogni anno, poi, in ottobre, un mio
vecchio amico di Alba, mi spediva, sempre per posta, un tartufo
bianco, che consumavo con pochi intimi, in quanto la concorrenza
con la "pomarolla" sulla pasta era imbattibile.
Alla domenica andavo a prestare servizio pastorale in un oratorio
di un rione molto popolare di Napoli: Rione amicizia e li
imparai il gioco delle tre carte e dei bussolotti. Un fine
settimana, fui scippato delle mie valige, ma mi vennero subito
restituite con mille scuse, perché si era venuto a
sapere che i giochi di magia in essa contenute servivano per
far divertire i ragazzini, che in dialetto napoletano vengono
chiamati "e creature".
Soprattutto al sud i bambini rappresentano e sono l'immagine
vivente di Dio
la sua benedizione in terra
ed
imparai una gran cosa: che chi aiuta o rallegra un bimbo,
aiuta un pezzo di cielo a illuminare il mondo e la semplice
filosofia di quelle terre mi farà da insegnamento per
tutta la vita.
1973. In quell'anno avvennero tre
grandi avvenimenti: fine della guerra in Vietnam, colpo di
stato in Cile e a Novello, un piccolo paese delle langhe,
il 2 settembre il mago Sales veniva consacrato sacerdote.
Sarò uno dei pochi maghi al mondo capace di fare
"scherzi
da prete". Ricordo come era bello avere tanta gente attorno,
che ti conosce, che ti vuole bene, che ti dice: "coraggio!".
Poi la sera, come al finire di uno spettacolo, calò
il sipario e fui solo
solo con Dio, solo con me stesso
e con la mia preghiera
Dammi la gioia del dono e la pazienza del
ricominciare,
l'umiltà nelle cose fatte bene e l'attesa della gente,
del bramino che canta,
dell'ebreo che ride,
dell'islamico che prega,
del povero che soffre.
Dammi solo il respiro di un bimbo che gioca,
il sospiro di un anziano che sente amore,
l'entusiasmo di un giovane che ama.
Dammi una vita
che non segua la ragionevolezza del mercato,
del dare e dell'avere,
del profitto e delle perdite.
Non voglio essere un ragioniere del mondo,
un imprenditore di Dio, un praticante,
un missionario, un crociato, un tesserato
Non c'è nulla di solido,
di fermo,
di controllabile con Te.
E non ci sono canestri per i meriti.
Dammi solo l'amore dei giovani.
Il sorriso dei bimbi,
le lacrime di mia madre
in quel giorno del mio sacerdozio.
Dammi il coraggio di un piccola tenerezza.
Dammi preghiere folli,
per ascoltare i tuoi lunghi silenzi.
2 settembre 1973 - sera. In quel giorno furono in molti
a dirmi che avevo fatto la scelta migliore.
Ancora oggi mi chiedo perché, se tanti apprezzano questo
bene, sono poi in pochi a volerlo cogliere! In realtà
sapevo benissimo di non essere stato io a scegliere. L'amore
del Padre mi aveva scelto e chissà perché, tra
i tanti, ero stato selezionato proprio io e questo me lo chiedo
ancora adesso.
Di fronte a questo dubbio terminava una giornata piena di
amici e di fede e mi trovai solo
con i miei genitori,
mia sorella
ancora da sposare e con 12 sveglie, 8 penne
stilografiche tipo lusso, 4 copie delle lettere di san Paolo
in elegante brossura rossa
e un salame di stagione con
un bottiglia di barolo del 68, donatomi da un povero prete
di campagna
l'unico a intendersi in fatto di regali.
Siccome viviamo una vita sola e, se le bottiglie non le sturiamo
noi, ci penseranno altri a vuotarle, aprii la bottiglia di
barolo e brindai alla nuova vita: mezzanotte tre quarti del
giorno dopo.
Dopo due giorni ero a Saluzzo, all'oratorio di via Donaudi,
dove resterò per un anno intero, il mio primo anno
di messa.
1973 - 74. Settembre, ottobre, novembre
i mesi scorrevano veloci, come i grani di un rosario arabo
e in quei giorni di tiepido autunno io raccoglievo i primi
frutti di una vita attesa e sperata: la mia vita di giovane
prete salesiano
per i giovani
ma soprattutto con
i giovani.
Immaginate uno spazio tra due porticati, una chiesa e un muro
di cinta, vuoto e immobile al mattino ma pieno e in rapido
movimento nel pomeriggio e nei giorni di festa. Il cortile
sembrava muoversi e ondeggiare come una chiatta sull'acqua,
ma era solo un impressione, perché l'animazione e il
movimento non scaturiva dal suolo, ma dal correre gioioso
dei bambini e dei ragazzi ed erano centinaia e in quel turbinio
in festa io ringraziavo il buon Dio e don Bosco per avermi
scelto. Sarà la mia preghiera, il mio canto, la mia
liturgia, la mia magia.
Naturalmente non avevo la vocazione da mistico
Così
trovavo anche il tempo per costruire e sperimentare nuovi
trucchi. Riuscii anche a creare un nuovo circolo di magia
tra i ragazzi dell'oratorio.
Tutto si completerà in una spettacolo e mini festival
della magia nel teatrino dell'oratorio. Per la propaganda
ebbi un'idea grandiosa. Mio amico era un contadino della parrocchia
di nome Battista, il quale aveva un buon numero di mucche
nella stalla. Presto fatto; di notte mi diedi alla pittura
e al bricolage. Confezionai tanti cartelloni pubblicitari,
li legai due a due e al mattino li indossai sui fianchi delle
mucche del mio amico Battista. Avevo creato le prime mucche
sandwich. Tutto era pronto per la grande parata. Così,
al sabato pomeriggio, i Saluzzesi che avevano programmato
la consueta passeggiata sotto i portici di Corso Piemonte,
furono costretti a condividere questa loro scelta con quella,
meno liberatoria, delle mucche sponsor di Battista.
Immaginate la scena: le risate dei buontemponi, le arrabbiature
dei soliti musoni, le lamentele dei commercianti e le multe
dei vigili e del dipendente SIAE, anche perché una
mucca ebbe la cattiva idea di entrare proprio nell'ufficio
della SIAE e lasciare come ricordo non certo un volantino
di propaganda.
La serata però fu un successo strepitoso, soprattutto
di pubblico.
Inversamente le mia azioni e credenziali presso il direttore
e parroco dell'istituto, cominciarono a vacillare.
A dare il colpo di grazia fu un fatto di ordinaria "amministrazione",
o, meglio "costruzione".
Essendo io l'ultimo arrivato nella comunità religiosa
di Saluzzo, non trovai più un locale disponibile per
un mio piccolo ufficio, che poi sarebbe diventato l'antro
segreto del mago. Così aspettai che il parroco, don
,
santa persona e ora, di beata memoria, fosse assente per la
consueta gita parrocchiale all'ennesimo santuario mariano,
per costruirmi il mio luogo segreto. Nel giro di un mattina
eressi nel corridoio degli uffici, proprio vicino a quello
del parroco, un vero e proprio muro di cinta.
Ora avevo il mio ufficio
un po' stretto, ma discretamente
lungo per sistemare tutti i miei trucchi di mago. Disgrazia
volle che il corridoio terminasse con una porticina che era
l'ingresso di un servizio igienico
quello del parroco,
trasformato, col tempo, in archivio parrocchiale. Bene
uno spazio in più
pensai! Così, con grande
fervore, nel pomeriggio, aiutato da alcuni ragazzi dell'oratorio
svuotai quel locale e feci un grandioso falò di tutti
i documenti.
L'avevo fatta grossa.
Il locale mi servirà a ben poco, in quanto a settembre
tempo di vendemmia, io raccolsi il mio primo invito a festeggiare
altrove il mio entusiasmo giovanile e, ancora una volta fui
messo in collegio.
1974 - 1981. Vita di collegio: Cuneo Convitto in Via
"Cacciatori delle Alpi", angolo "Lungo Gesso".
Con l' aiuto di un compare o di una scaletta, qualche burlone
aveva leggermente corretto le indicazioni sui nomi delle vie,
in modo che ognuno poteva leggere: via "Caccatori delle
Alpi", "Lungo Cesso". Nonostante le allusioni,
quel collegio salesiano non era affatto un locale che
abitualmente si trova al fondo di ogni corridoio. Al contrario
era un luogo di gioia e di rapporti umani fantastico ed io
trascorsi, penso, gli anni più ricchi della mia vita.
Ancora oggi, quando incontro un giovane ex allievo, assaporo,
con nostalgia, il bel tempo passato e il bel ricordo è
sempre reciproco.
Intanto mi iscrissi al primo anno di Università, a
"Palazzo Nuovo", in Torino; facoltà di magistero
indirizzo sociologico. Erano gli anni ruggenti post contestazione
giovanile
gli anni delle grandi rivendicazioni sociali,
della lotta delle Brigate Rosse. Anch'io avevo una battaglia
da combattere
Solo molto più tardi capii che non era contro la società,
ma contro me stesso. Comunque, dopo 10 anni discussi la mia
seconda laurea: Pedagogia, ottenendo un discreto punteggio:
100 su 110. Appesi, con ostentazione, la laurea al muro della
mia cameretta. Dopo un anno, non avevo tolto nemmeno la polvere,
La staccai e la depositai chissà dove. Ora, il ricordo
non mi crea certo nostalgia
Tutto passa, eccetto l'autobus
che stai aspettano per andare al lavoro.
1980. Con alcuni miei amici, creai il Circolo Magico
Cuneese. Gli amici maghi erano Bonomessi Giuseppe, Allochis
Renzo, Alberto Claudio, Anselma Domenico, Enrici Cesare.
I circoli magici sono un po' come le musiche andine o i canti
tibetani: monotoni e ripetitivi. Immaginate di accettare l'invito
a cena di un lontano parente di vostra moglie, appena tornato
da un viaggio in Thailandia, il quale, dopo avervi fatto gustare
un discutibile infuso acquistato mediante il commercio equo
e solidale, vi propini ben 721 diapositive del suo ultimo
viaggio in Asia
e voi, martire delle circostanza, vi
accorgete che a nulla serva maledire, in segreto, parentele
e amicizie
.
Così sono oggi i circoli di appassionati apprendisti
stregoni. Servono solo ai padroni di casa (presidenti)
veri feudatari sempre in lotta tra di loro
e quindi,
ora, non voglio parlarvi di questo mio peccato di sorpassata
giovinezza.
Piuttosto voglio parlarvi di un mio incontro con un ragazzo
smilzo, timido e pallidoccio, avvenuto in un anno particolare
di quella che io chiamo: "non più chiara giovinezza"
.
Insomma in un periodo di tempo fuori del tempo, proprio perché
il personaggio che incontrai era ed è un "essere
fuori del tempo". Mi ricordo soltanto che ero stato mandato
dai miei superiori per organizzare un centro estivo nella
colonia salesiana di Gressoney. I ragazzi., provenienti dai
vari istituti salesiani, avevano tutti terminato la terza
media, e dichiaravano di voler studiare da prete. Tra i tanti
(ben 35), c'era anche quel ragazzino, proveniente dal collegio
salesiano di Lanzo torinese: Arturo Brachetti, oggi star del
grande varietà mondiale. Ancora prete?
in realtà
Arturo studierà solo un anno per conoscere la sua vera
vocazione
L'importante non è essere quello che
siamo per gli altri, ma quello che sentiamo di essere dentro
di noi
Questa è la vocazione. Arturo non è
mai diventato sacerdote, perché quello era il desiderio
di suo padre o di sua zia. In compenso è sempre stato
un bambino e lo è ancora oggi
un bambino spontaneo,
non capriccioso, cocco di mamma, ma ridente e generoso che
continua a giocare con la propria vita e fantasia.
Questo è quello che Arturo Brachetti dice ora del suo
primo maestro: don Silvio Mantelli, il mago Sales:
"Ci sono degli incontri nelle nostre vite, per cui poi
noi diventiamo quello che sognavamo di essere. Questa è
la magia che ha fatto Sales per me.
Ma oggi lui è molto di più per me e per tutti.
Anche senza trucchi nè costumi, Sales porta la vera
magia, quella della vita a coloro che hanno solo la propria
sopravvivenza da difendere.
Grazie Sales per essere ancora quel "ragazzo" piene
di idee, di risorse e di ideali che mi hai insegnato a perseguire.
Grazie per avermi insegnato che non esistono montagne invalicabili..."
1981. Giù dai colli
verso la città
di don Bosco: Torino - Valdocco: Casa madre.
A volte far carriera equivale a una grande fregatura e così
avvenne per me.
Mi dissero che sarei andato a stare meglio, che l'incarico
che mi veniva offerto era di tutto riguardo. Dalla compagna
di Cuneo, andavo verso la grande città: Torino e proprio
a Valdocco, la prima opera creata da questo grande incosciente
e fantastico santo: don Bosco.
Purtroppo le cose non andarono così e, se la vita è
come una medaglia con il dritto e il rovescio, io incominciai
a sperimentarne il rovescio, e il profumo di un tempo svanì
e fu sostituito dall'odore e
non vi dico di cosa.
Le decisioni non avvengono mai a caso e questa mia nuova obbedienza
fu originata anche da alcuni fatti che avvennero tra me e
l'allora direttore del convitto civico salesiano di Cuneo.
L'origine di tutto fu, come sempre, la magia o, meglio, il
mio essere prete e mago. Come ho già accennato precedentemente,
la realtà di un prete che fa anche il mago e quindi
crea, attorno a se un alone di notorietà, non è
sempre stata accettata da tutti i miei superiori e don
.
ne fu un esemplare perfetto.
Il fatto di leggere la mia "contenuta" fama "locale"
dai giornali o il sentir parlare continuamente delle mie imprese
da tutti coloro che frequentavano il Convitto, non gli andava
proprio giù. Lui era pur sempre il Direttore e, per
ruolo, doveva essere il più importante di tutti.
Questa che io chiamo: "malattia da vassallaggio"
era ed è anche dovuta al fatto che non è assolutamente
facile essere direttori religiosi e i pochi che ne hanno le
capacità, a volte non hanno il coraggio di esserlo
e rifiutano l'incarico. Così io fui vittima di un ennesimo
Papa Celestino V che fece il gran rifiuto.
I contrasti si accentuavano quando, a proibizioni di uscire
dal convento per fare spettacoli, io rispondevo con artificiosi
sotterfugi da abile mago: tipo uscire dal collegio con un
grande sacco dell'immondizia, in cui avevo riposto i miei
giochi da spettacolo e salire sulla macchina di un amico che
mi conduceva dove ero atteso per l'intrattenimento. Il rientro
era sempre a notte fonda, quando tutti dormivano.
In quel tempo, per nascondere la mia identità di artista,
avevo iniziato a far uso di maschere, creando nuovi personaggi.
Allora ero Mandruga, la strega che toglie la ruga, il pagliaccio
Sbrendola, il mago cinese "A me li oci", l'imbonitore
ciarlatano, professor Marmittoni, il fantasma con l'asma,
e tanti altri ancora. Il teatro è sempre stato un terreno
di illimitata creatività ed io ne sperimentavo le enormi
potenzialità. Naturalmente, dietro tutto ciò,
c'era un grande regista: Arturo Brachetti, che, dopo pochi
anni diventerà il più creativo trasformista
del mondo.
Tutto bene, anzi benissimo
fino alla notte in cui, rientrando
dopo l'ennesimo travestimento, trovai che la chiave non entrava
più nella serratura del grande portone del collegio.
Qualcuno
e pensate chi! aveva cambiato il nottolino
e, non certo, per farmi uno scherzo. Non mi restava che scavalcare
il muro di cinta. Guardai attorno a me che non ci fosse nessuno
e mi accinsi a scalare il muro, salendo su un'auto li posteggiata.
Ero ormai sulla sommità, quando un faro da 5.000 Wat
mi investì in pieno e una voce mi intimò l'altolà.
Era una pattuglia della Polizia ed io fui scambiato per un
ladro. Mi portarono in caserma e
ancora una volta finii
sui giornali.
Questo fatto non giovò molto alla salute del mio direttore,
ma, purtroppo, non era che l'inizio ed io non ne fui cosciente
che al termine dell'estate, quando ebbi con lui l'ennesimo
incontro-scontro.
Intanto le serrature continuavano a essere cambiate. Così
io cominciai a studiare e praticare le arti di scassinatore
che furono del mago Houdinì e non ebbi più problemi
a varcare ogni soglia, servendomi di improvvisati chiavistelli.
Entravo nel collegio, senza far rumore, recandomi poi furtivamente
nella mia cameretta per dormire quelle poche ore che mi separavano
dalla sveglia comunitaria per la recita delle lodi.
In una di queste mie entrate notturne, prima di arrivare alla
porta della mia cameretta, mi incontrai nel corridoio con
un mio confratello che si svegliava sempre alle quattro del
mattino. Era un salesiano molto anziano, ex missionario dell'India,
che non aveva mai rinunciato ai suoi orari di un tempo. Per
non dare troppe spiegazioni, invece di infilarmi nella mia
cameretta, mi diressi con lui verso le stanze da bagno per
darmi una rinfrescata. Così non ci furono domande,
anzi ricevetti una nota di plauso per il fatto che anch'io
avevo preso la giusta decisione di svegliarmi presto.
Non così fu il parere del direttore che incontrai lungo
il corridoio, appostato proprio davanti alla mia cameretta.
Era stato sveglio tutta la notte ed aveva covato ansia e altri
sentimenti
non certo giovevoli alla salute del suo cuore
de tempo malato.
Oltre a chiedermi dove ero stato, volle sapere come avevo
fatto ad entrare dalla porta principale. Non trovai una spiegazione
plausibile e dissi che avevo dei poteri e, essendo mago, non
c'erano barriere capaci a resistermi.
Io pensavo di mettere la discussione sul ridicolo e di scaricare
così la tensione che si era creata
Invece ben
altra fu l'interpretazione che ne diede il Direttore. Incominciò
ad aprire la bocca, forse per inviare chissà quale
anatema nei miei confronti, ma non riuscì che a balbettare
poche sillabe incomprensibili. Si accasciò al suolo
con il braccio teso verso di me. Questo mi diede l'occasione
per una presa stupenda. Lo afferrai per il braccio e lo trascinai
velocemente verso la macchina, che, fortunatamente si trovava
in strada. Lo portai al pronto soccorso e fu salvo.
Non io. Una settimana dopo ero in viaggio verso Torino, dove
mi attendevano nuovi incarichi.
Si chiudeva il sipario del primo atto della mia vita di prete
e, dietro le quinte, maturavo nostalgia e timori. Mi accorgevo
che la vita continua, ma volevo fermare il tempo.
Una giornata così
di tiepida estate e di fine vacanza.
Sfumature di colori,
odore di muschio,
prime nebbie
nel mattino che sale,
tra il vagare di ricordi
e l'attesa di un giorno nuovo.
Edulcorata nostalgia,
quasi preghiera.
Desiderio di nuovo
Voglia di pace
Ribellione di ipocrisie,
e quello che sai è solo
quello che non vuoi più essere:
un contabile di pregi,
un benestante,
un dispensatore di consigli,
un adulto rassegnato,
un idealista,
un cristiano praticante,
un prete di privilegi.
E il reale si perde nel sogno
e vorresti rotolarti in un prato
e sentire l'odore caldo della conserva
tra la vendemmia e la pulitura delle pannocchie,
sull'aia di nonna Matilde.
e ti senti felice,
libero,
nella gioia di allora
bambino di un tempo
Come Pietro a cui ora
hanno messo in testa tre corone,
ma ancora sogna una barca
sul suo lago di Tiberiade;
o don Bosco a cui
hanno dato un ufficio e tanti segretari,
ma ripensa ad un prato
con una corda tesa
tra i due meli dei Becchi.
In India, al confine delle grandi montagne, tra il brulicare
di innumerevoli ruscelli e lo scorrere monotono delle stagioni,
dicono che esista un piccolo lago a forma di stella, nel cui
interno qualcuno ha nascosto i destini di tutti gli uomini.
Il lago ha cinque punte e su ogni punta nasce un torrente
che porta le acque del lago e i destini degli uomini verso
il grande oceano. I torrenti si trasformano poi in fiumi e
hanno percorsi diversi, a secondo della loro lunghezza. Alcuni
arrivano molto presto al mare, altri percorrono chilometri
e chilometri in variegati territori. Tutto sembra stabilito
fin dall’inizio e le vite degli uomini sono segnate e affidate
al tratto di fiume che dovranno percorrere. I fiumi sono sacri
e le loro acque intoccabili, ma i bambini di quelle terre,
come tutti i bambini del mondo, non conosco regole se non
quelle del gioco ed è per gioco che, ogni tanto un bimbo va
al fiume e rimescola le acque, riempiendo piccoli secchielli.
Così il destino di un uomo, improvvisamente cambia percorso
o semplicemente si interrompe. La vita è proprio un gioco
ed è affidato, a volte, al capriccio di un bimbo. Non scommettiamo
mai sul nostro futuro, il domani potrebbe essere carico di
grandi sorprese… brutte o belle… e non dipende da noi.
1981 La sorpresa che mi attendeva a Torino, non so
definirla bella o brutta; certo, fu sufficiente a cambiare
un tratto della mia vita di prete—mago.
Valdocco era ed è terra santa, perché terra di Don Bosco,
uno dei più grandi santi che abbia avuto la chiesa nel secolo
diciannovesimo. Tutto era grande a Valdocco… soprattutto era
perfetto. A sentire alcuni anziani, si diceva che gran parte
dei confratelli possedessero, anche se nascoste, qualità inimmaginabili,
tanto da sembrare dei veri giganti di bravura e di santità.
Se queste erano le premesse, non era certo necessario avere
una mente stile Leonardo per immaginare il risultato di un
accoppiamento così bizzarro: cioè tra l’eccezione stravagante
della mia vita di prete-mago e la perfezione di un ambiente
collaudato nel tempo. Era come mettere un rattoppo vecchio
su un abito di gran classe. Nemmeno il Saggio, nel Vangelo,
offre la sua benedizione a un tale connubio.
Praticamente ero stato inviato a sostituire un bravissimo
salesiano, Don Gazzera, incaricato della disciplina nella
prima scuola professionale fondata dallo stesso Don Bosco.
Gli studenti, tra i 15 e 17 anni, erano più di 300, eppure
nella scuola, nel cortile, nel refettorio regnava un ordine
e una disciplina, stile “cortina di ferro”. Con tutto ciò
i ragazzi volevano un gran bene a Don Gazzera, che esigeva
da loro un tale comportamento. Come era possibile tutto ciò?
Semplice! Quel salesiano usava un bene che tutti hanno, ma
pochi usano: la ragione. Ogni intervento disciplinare non
era mai impulsivo o di parte, ma motivato e inserito in un
progetto educativo volto unicamente al bene dei ragazzi… e
loro ne erano coscienti.
Io, dopo aver “assimilato” tutto ciò, incominciai a “fagocitare”
la mia parte di copione, cercando di entrare, il più possibile,
nel ruolo del “burbero benefico”, avvalendomi di ben studiati
artifizi, tipo segnare con un gessetto tutte le mattonelle
del pavimento su cui era solito posizionarsi Don Gazzera:
lungo le scale, nei corridoi, in refettorio, nel cortile…
in prossimità dei gabinetti… luogo ritenuto di particolare
attenzione.
Naturalmente tanto era animata la ricreazione nei cortili,
altrettanto dovevano essere silenziosi gli altri ambienti.
Il giorno precedente l’inizio della scuola, feci le prove
generali: mi misi davanti ad uno specchio e valutai, tra le
varie espressioni del mio viso, una in particolare che fosse
la più solenne possibile. Usai anche del trucco teatrale per
accentuare le ciglia e ridurre gli zigomi e mi immedesimai
in un’immagine stile “kapò” anni ‘40.
Tutto era pronto per il grande debutto: la “prima” andò discretamente
bene… ma le “repliche” furono un disastro… anche perché dopo
non molti giorni, mentre mi trovavo con la mia faccia “truccata”
in un ambiente all’aperto, si mise improvvisamente a piovviginare
e il mio viso si rigò di piccoli solchi colorati, rendendolo
simile a quello di un clown.
L’incanto era finito e la ricreazione divenne generale.
Con tutto ciò il rapporto con i ragazzi della scuola divenne
sempre più cordiale, trasformandosi in vera amicizia e familiarità;
fui considerato il loro fratello maggiore; una persona, cioè,
a cui poter confidare segreti e preoccupazioni.
Queste ultime, però, le maturarono i miei confratelli salesiani,
turbati dalla mancanza di silenzio e di disciplina nei vari
ambienti della scuola, Così incominciai a sentirmi a disagio
nella nuova casa salesiana.
In questa “precaria” situazione passai due anni in cui ero
consigliere, animatore professore (insegnante di cultura in
ben tre classi dell’istituto professionale), studente (iscritto
al 9 anno di università) e prete. Con tutti questi incarichi
non avevo più tempo di fare anche il mago. Tenevo sempre i
miei attrezzi… animali compresi: 6 tortorelle e 2 conigli,
alloggiati nella mia cella, all’interno di un armadio, a cui
avevo inchiodato una rete metallica, trasformandolo in voliera.
Mi ero creato una sveglia “naturale”. Puntualmente alle cinque
del mattino, venivo “introdotto” al nuovo giorno attraverso
l’umile tubare delle tortorelle… un suono a me gradito e confacente
con l’habitat quasi francescano di quei luoghi santi. Ben
diverso era però il parere dei vicini di camera.
Così, mentre le mie quotazioni di simpatia da parte dei confratelli
e dei superiori continuavano a calare, si allargava e cresceva
dentro di me una situazione di disagio e di sofferenza.
“Chi è senza peccato scagli la prima pietra” fu detto ed io
mi ritrovo, ancora oggi, nel mucchio di coloro che segretamente
lasciano cadere a terra il sasso.
Certamente la colpa di tutto quel malessere fu anche mia,
soprattutto quando incominciai a confondere “un” dono con
“il” dono e preferirlo alla carità amorevole verso tutti.
Questo mi successe pochi mesi dopo il mio arrivo a Torino.
Mi pareva di vivere fuori del tempo, in una dimensione “senza
confini”, irrazionale e precaria nello stesso tempo… in uno
stadio embrionale e primaverile. Erano i preamboli dell’innamoramento
e questo non tanto verso le cose, il mondo o verso Dio, ma
verso una donna… proprio lei, diversa da tutto e da tutte,
unica.
Questo successe e io non feci nulla per allontanare quel sentimento…
che tutt’ora sento bello e gratificante. Sentirsi amato è
un desiderio di tutti ed io lo fui veramente. Era il tempo
della tenerezza e della poesia.
Bianchi, tenui cesti di baci,
tiepidi come un fiore sbocciato
nella rugiada del mattino
tra l’incolto del bosco.
…Prime pratoline.
Sembri un oceano di luci,
un uragano di colori
e sei un nido
per la mia stanchezza.
Questo e altro ero solito scrivere e lasciare nei posti più
impensati e noti solo a noi.
Del resto non facevo altro che attingere da un patrimonio
di poesie scritte in precedenza per i ragazzi del Convitto
di Cuneo in fase più o meno avanzata di innamoramento. Le
scrivevo su ordinazione, a secondo dei casi e delle circostanze
e mi divertivo un mondo.
Mai più avrei pensato di diventare così “sciocco” da farne
un uso personale.
Perché sciocco lo era diventato veramente, ma, nello stesso
tempo mi sentivo più buono verso gli altri, capace di affrontare
la vita con meno paure.
L’esperienza fu talmente unica e grande che mi pare sprecato,
ora, dire o definire i particolari. Non fu una vicenda da
rotocalco. Ci fu soprattutto amore, sentimento, un po’ di
passione e… tanta sofferenza.
Non me lo disse lei… Non avrebbe più potuto; lo seppi da altri
in una mattina tiepida di fine inverno. Se n’era andata, in
silenzio, sola su una panchina dei giardini di Torino, portandosi
dentro il suo segreto… il nostro.
E’ troppo facile dire “Non c’entro”,
e distribuire demeriti e peccati;
è troppo comune pensare: “Non io”
e ritenersi diversi dai tanti,
illegali e amorali;
è troppo liberatorio dire: “Non m’interessa”,
e arroccarsi in un piccolo gruppo,
o setta di benpensanti;
è troppo semplice ripetere: “non so”
e nascondersi dietro coltri di paura;
Siamo come bimbi,
intrappolati nelle nostre bugie,
coscienti solo dei nostri privilegi.
Basterebbe chiedersi: “Perché?”,
mentre un gallo canta,
tra il vociare di serve curiose
accanto a un fuoco di sera.
che si consuma tra colpe e amarezze.
… le mie.
Poi incontri lo sguardo di Gesù che porta la croce.
E ti ritrovo povero,
vuoto di meriti,
carico di colpe
ma… ricco di perdono.
Al di la del Calvario,
sul fare del giorno
Tu, ancora ci attendi
per ridonarci una speranza
e un mondo nuovo,
come all’inizio del tempo.
1983 Le sopraffazioni, le ingiustizie, le guerre hanno
una spiegazione: sono frutto dell’egoismo degli uomini, ma
quale è la giustificazione alla sofferenza? L’esperienza del
dolore, si dice che faccia parte della vita… ma non siamo
stati creati per questo. Ancora, dicono che sia conseguenza
di una colpa originale di quell’uomo o coppia, ma, che colpa
abbiamo noi? Altri ancora affermano che il male è contrapposizione
del bene e l’uno non può esistere senza l’altro… Bugie! Forse
non ci sono spiegazioni logiche… nemmeno teologiche. Il dolore
resta un’esperienza umana, preambolo dell’esperienza di Dio
che bussa alla tua porta, ti invita a uscire e cammina con
te. Questo passaggio, però, avviene gradatamente e in quell’intervallo
di tempo e di sofferenza io decisi di prendermi una “pausa
di riflessione”: si dice così per chi sta per lasciare la
casa religiosa e uscire di Congregazione.
A settembre di quello stesso anno, lasciai la casa religiosa
di Valdocco e caricai sulla macchina di mia sorella le poche
cose che avevo per una nuova vita. Dove? Ancora non sapevo…
ma quello era l’ultimo dei miei problemi.
Infatti a ottobre, un mio amico mi presentò ad un produttore
televisivo di TeleMontecarlo: Noel Coutisson e dopo una settimana
fui assunto come aiuto regista di due programmi televisivi:
“Gli affari sono affari”, girati nei supermercati d’Italia
e “Bim Bum Bambino”, registrato nelle scuole elementari.
1984: grandi novità
Intanto mi laureai in Pedagogia, con una tesi sulla “concezione
e pratica religiosa dei lavoratori dipendenti di Torino e
Cuneo e loro comparazione”.
Allora abitavo a Montecarlo, in uno studiò nel condomino degli
aranci ma non mangiavo caviale e nemmeno bevevo champagne.
La giornata era troppo corta per sommare insieme lavoro e
passatempo, per cui mi accontentavo di un panino, una pizza
o un’insalata francese, una lattina di coca-cola e di un caffè
non italiano sorbito tra un viaggio, un lavoro sul set, una
programmazione e mille altri impegni. La domenica era libera,
ma ero talmente stanco che non riuscivo nemmeno a riposare.
Passò così un anno della mia vita, naturalmente tra pregi,
difetti e… consuete abitudini, ben radicate nella mia personalità,
quali una grande capacità di fantasticare messa a servizio
di lavori sempre creativi e un innato senso di pigrizia, accoppiato
con un incurante vissuto nel disordine più totale. L’alloggetto
in rue des orangines (via degli aranci), dopo solo pochi mesi
di abitazione, presentava più l’aspetto di una tana da campi
profughi che di un luogo ameno tipo agrumeto in fiore. Avevo
anche una mia teoria sulla polvere: dopo quattro mesi non
fa più impressione e nemmeno si nota la crescita… Tanto vale
allora diventane amico o, almeno, fare un patto di non belligeranza.
I pregi o i vantaggi che derivavano da questo nuovo stile
di vita erano evidenti: imparai a vivere come un uomo comune,
senza i privilegi che derivavano dall’essere parte di una
casta sacerdotale. Mi mettevo in fila con gli altri e non
avevo un medico o un barbiere personale e gratuito. Questo
mi dava la possibilità di conoscere le difficoltà dei tanti.
Inoltre ora ero libero di disporre non solo di cosa fare delle
mie doti o del mio tempo, ma anche dei miei beni materiali,
tipo una macchina, una casa e.. naturalmente del denaro. Potevo
scegliere: o tenere tutto per me o distribuirne parte per
aiutare gli altri. Scelsi quest’ultima opzione e divenni ricco
non solo di meriti, ma anche di me stesso.
Ricordo che prestai ad una collega di lavoro una discreta
somma di denaro per il saldo della sua nuova macchina, con
la promessa che mi sarebbe stata restituita dopo pochi mesi,
naturalmente senza interessi. I mesi passarono e passò anche
la memoria del debito da parte della mia collega. Disse che
il bugiardo ero io e non aveva mai ricevuto nulla da me. Io
non mi ero fatto rilasciare una dichiarazione scritta, ma
possedevo una buona fantasia e un discreto senso dell’umorismo,
per cui, notte tempo, presi una bomboletta spray e decorai
la sua macchina con una scritta tipo insulto. Risultato: la
collega non si fece vedere al lavoro per due giorni, poi riprese
a venire, ma servendosi dei mezzi pubblici. Riconosco di aver
agito malamente e questo scritto equivale ad un “mea culpa”…
ma, devo anche confessare che quel giorno mi tolsi una grande
soddisfazione. Questo non fu certo l’unico peccato commesso
in quel periodo della mia vita. Poco alla volta mi accorgevo
che il lavoro occupava sempre più i miei interessi, tanto
da farne da padrone. La conseguenza era la perdita progressiva
del mio essere prete e del tempo dedicato alla preghiera,
o, anche solo alla lettura, da me ritenta fondamentale per
il mantenimento di una buona igiene mentale.
Così, ancora una volta, presi la decisione di voltare pagina
e ricominciare.
Sul far dell’estate, lasciai Montecarlo, salutai colleghi
e principali e ritornai a Torino, o meglio andai a vivere
a Grugliasco, in provincia di Torino.
1984 Anche quell’anno dovevo vivere e… quindi lavorare.
Ripresi a fare l’insegnante, o, meglio, il procacciatore e
dispensatore di valori umani e spirituali. Ero diventato insegnante
di religione in una scuola commerciale. Più che insegnare
religione o cultura religiosa, cercavo di far capire a quei
ragazzi l’importanza e la ricchezza della propria vita, del
sentirsi vivo e della immensa capacità che abbiamo di amare
e di essere amati. Questa è religione: partire dall’uomo e
restare con l’uomo, salvato da Dio e quindi capace di voler
bene. Ognuno di noi: cristiano, ebreo, mussulmano, ateo, buddista
ha un grande destino e responsabilità: quella di far capire
al nostro prossimo che nessuno è orfano su questa terra e
l’essere e il sentirsi religiosi aiuta a vivere meglio questo
impegno.
Così, a fine mese avevo meno soldi, ma molte soddisfazioni.
Per i primi tempi tirai un po’ la cinghia: facevo un solo
pasto al giorno e dormivo nel mio alloggio al secondo piano
di uno stabile popolare, praticando uno stile asiatico tipicamente
indiano: cioè sul pavimento tra un cuscino e una coperta:
le uniche due cose che mi ero portato via dalla casa Salesiana
di Valdocco.
A proposito: queste due cose mi aiutano ancora oggi a chiudere
gli occhi su ogni giornata che muore, con un’unica grande
differenza: sono accompagnate da un giaciglio classico con
tanto di materasso ortopedico. Non penso di essere superstizioso,
ma reputo questi due oggetti, il cuscino e la coperta, i miei
portafortuna. Mi ci sono affezionato col tempo e li antepongo
ad ogni cosa, anche a una abitazione o a una macchina e, quando
non ci sarò più in questa vita, vorrei ancora averli con me.
E’ l’unica cosa che chiedo.
Col tempo le cose migliorarono e nel giro di due anni completai
l’arredamento. Appesi anche i quadri alle pareti e ripresi
a fare esercizi di magia. Per arrotondare lo stipendio facevo
spettacoli in vecchie sale da ballo o nei ristoranti frequentatati
da poche coppiette, ma molte aitanti vedovelle o signorinelle
di età indefinita. Vedendole ringraziavo la Chiesa per aver
imposto il celibato ecclesiastico ai suoi preti. Diversamente,
quando incontravo una bella ragazza, ringraziavo il buon Dio
per aver creato cose così belle. Anche se ero a dieta, una
semplice controllata al menù non poteva certo farmi male.
Non sapendo che io ero un prete, alcune “vedovelle” incominciarono
anche a farmi delle avance e, considerando il fatto che avevano
tutte una certa età e non erano un “fiore di beltà”, ebbi
la triste percezione di essere diventato anziano.
1986 In quell’anno non ripresi soltanto ad interessarmi
di giochi di magia. Ripresi anche a “fare il prete”, o meglio
a “essere prete”.
Il mio cammino sulla via per Damasco era incominciato e la
mia conversione pure. Il bello era che non fui io a incontrare
Gesù. Fu lui a presentarsi a me, come ai due discepoli sulla
via di Emmaus. Si presentò attraverso una suorina del Cottolengo,
suor Lucia, di circa 75 anni, che mi accolse nella sua casa
per anziani, dove rimasi 5 anni, facendo il cappellano. Bussai
alla porta di quella casa della Divina Provvidenza in una
mattina d’autunno, quando le scuole erano iniziate da soli
due giorni. La superiora, suor Lucia, mi venne ad aprire e,
alla mia richiesta di essere cappellano, mi rispose che non
poteva prendere simili decisioni, senza prima consultare il
Padre superiore. Nel pomeriggio mi chiamò e mi disse che il
Padre aveva accettato la mia richiesta e lei era ben contenta
di quella scelta.
Solo quattro anni dopo, quando suor Lucia dovette lasciare
quell’impegno per limiti di età, mi disse che aveva sì consultato
il Padre, ma non quello gerarchico con sede a Torino, in via
Cottolengo, ma quello presente nel Tabernacolo: Gesù e da
Lui ne aveva auto l’approvazione. Passai così 5 anni in cui
feci veramente il prete e, a poco a poco, rinacque in me la
voglia di Dio, l’amore per gli ultimi e il rispetto per me
stesso.
Oggi ho nostalgia di quel periodo, forse perché col passare
del tempo la mia conversione sa più di matrimonio invecchiato
che di iniziale innamoramento.
1988 Centenario della morte di Don Bosco
Quando io nacqui, mia mamma mi aveva affidato a due grandi
santi: santa Rita e san Giovanni Bosco; la prima era la santa
degli impossibili, il secondo il santo dell’amorevolezza;
insomma due santi adatti per tutte le stagioni ed io nel 1988,
dalla crudezza del rigido inverno stavo entrando nel dolce
tepore primaverile. Era la quiete dopo la tempesta. Santa
Rita aveva fatto la sua parte e mia mamma pure (penso che
abbia impiegato gran parte della sua vita a accendere candele
alla Santa degli impossibili nel santuario di Torino); ora
era il turno di Don Bosco… che mi accolse tra le sue braccia
e i suoi figli proprio nel centenario della sua morte, durante
le celebrazioni in suo onore.
Don Bosco è ufficialmente riconosciuto come il santo patrono
dei giocolieri e dei prestigiatori. Per onorarlo come tale
nel gennaio del 1988 avevo organizzato una grande manifestazione
con i mie amici prestigiatori di Torino (l’allora Circolo
amici della magia). Dai Salesiani di Valdocco avevo ottenuto
il permesso di iniziare i festeggiamenti magici con un momento
di preghiera e spettacolo nella grande chiesa di Maria Ausiliatrice,
proprio all’altare do si trova l’urna di Don Bosco. Volutamente
non avevo fatto propaganda di questo fatto, per cui ebbi un
pubblico limitato, ma scelto. Ad entusiasmarsi e battere le
mani era presente anche il Rettor Maggiore dei Salesiani:
don Egidio Vigano. Quale occasione più bella per abbracciare
il successore di Don Bosco e per ritrovare la forza di chiedere
perdono ed essere nuovamente ammesso dentro la vera allegria
salesiana.
1991. Due anni dopo lascio la cappellania del Cottolengo
di Grugliasco, un laboratorio di magia in Torino dove avevo
iniziato una scuola per giovani apprendisti “stregoni” e due
camere in uno stabile popolare… La nuova destinazione è l’oratorio
salesiano Michele Rua in Torino.
1991 settembre tempo di migrare.
La mia transumanza avvenne in un mattino di tiepido autunno,
prima dell’inizio delle scuole. Destinazione: istituto salesiano
Monterosa “multiuso”: cioè con molte attività: oratorio, parrocchia
e scuola. Era l’ambiente adatto per mettere a profitto la mia
laurea in pedagogia; infatti mi misero a insegnare storia e
geografia in due classi della scuola media Michele Rua nell’omonimo
istituto salesiano di Via Paisiello 37 in Torino.
Il comportamento umano sovente è paragonabile all’andamento
delle onde del mare: continuo e ripetitivo e la mia vita non
faceva certo eccezione a questa regola, per cui il problema
di un tempo, legato alla mia incapacità a mantenere la disciplina,
ritornò a galla. Con tutto ciò mi trovai contento di annegare
in quel dolce mare della scuola. Avevo l’apprezzamento degli
allievi, la comprensione dei genitori e la rassegnazione del
preside e degli insegnanti. Come sempre non si poteva aver
tutto dalla vita.
Direttore dell’opera era don Mario, una vecchia conoscenza
e amico. Anche lui usava la terapia del sorriso mediante canti,
barzellette e giochi di prestigio per comunicare con bambini,
giovani e anziani… insomma con tutti.
Ero di nuovo a casa e per due anni ripercorsi una strada già
nota senza ignominia e senza lode. Sul fronte della magia
e dello spettacolo, però, riportai una grande novità. La mia
presenza scenica si fece più elaborata quando, nell’autunno
del 1992, Arturo Brachetti ritornò dalla sua tourné in Europa
e mi aiutò nell’allestimento teatrale del mio primo grande
spettacolo di magia: una “commedia magica” di due ore con
più personaggi dal titolo un po’ curioso, ma profetico: “Il
giro del mondo in 80 minuti”.
L’anno dopo incomincia veramente a girare il mondo e fu l’inizio
di una grande avventura che continua ancora oggi.
1993 Dopo anni di onorata “carriera” in Italia misi trucchi
costumi, bacchetta e cilindro magico in due grosse valigie e
partii a portare il mio spettacolo in giro per il mondo. Da
quel fatidico agosto del 1993 ho fatto tre volte il giro del
globo, trascinando nel gioco i vivaci bambini dei villaggi africani
in Nigeria, Kenya, Madagascar, Somalia, Uganda, ecc. facendo
ridere le timide ragazzine delle Ande boliviane, allietando
intere scolaresche delle Filippine, affascinando migliaia di
giovani nelle missioni di Macao, di Hong Kong, portando un sorriso
ai bambini Indiani di Calcutta, dell’Indonesia, del Vietnam
e della Cambogia. ballando e giocando a ritmo di samba con gli
irrequieti ragazzi delle favelas brasiliane e delle foreste
dell’Amazzonia… Insomma la mia vita si trasformava in un canto
di gioia e il gioco di magia generava allegria ed io ne diventavo
il mercante o meglio il dispensatore, regalando sorrisi ai bambini
del mondo: al bambino bianco, al bambino nero, al bambino giallo,
al bambino rosso… In cambio ho sempre ricevuto un bene prezioso:
amore.
Il sorriso donato non era certo un “affare” era e resta un
diritto, come la vita, la salute, la felicità… Ma, percorrendo
le strade del mondo, incontravo situazioni di estrema povertà
in cui questo diritto troppo spesso era negato.
La mia missione diventava allora quella di dare un “tetto
al sorriso del mondo”, aiutando i bambini che non avevano
una casa, una famiglia o un amico, a vivere “decentemente”
il grande dono della vita.
Da quel lontano 1993, grazie all’aiuto di tanti benefattori,
molti bambini sono stati liberati dalla fame, dalle malattie,
dall’ignoranza e hanno ricevuto sostentamento, salute, istruzione
e tanta allegria.
Questo progetto cambierà la mia vita e fu originato da un
fatto non certo casuale.
Ripensando ai momenti più importanti della mia vita, mi accorgo,
ora, che sono sempre stato guidato da un provvidenziale destino,
che a volte mi ha salvato da un pericolo nascosto, ma più
sovente mi ha indicato la strada da percorrere. Questo destino
io lo chiamo semplicemente “buona sorte” ed è affidato a un
angelo… ad un “angelo custode”. In quanto credente, ho la
fortuna di sapere che proviene da Dio, l’artefice della mia
vita, come quella di tutti i bambini del mondo.
Il pretesto per smuovermi dal suolo natio avvenne al termine
di una cena in casa dei genitori di Mario a Torino. Mario
Fasson era un mio ex allievo della scuola professionale in
Valdocco; si interessava di giochi di prestigio ed era stato
per alcuni anni il mio collaboratore assistente mago. Poi
un bel giorno piantò tutto e andò in Brasile a lavorare come
volontario in un ospedale del Mato Grosso. Doveva restare
solo due mesi, ma, nel 1993, dopo due anni, era ancora là.
Così, siccome Mario non sembrava voler ritornare a casa, la
famiglia Fasson e il mago Sales, al termine di quella cena,
decisero di andar loro in Brasile a trovare Mario.
Ai primi di agosto del 1993, con due valige, un passaporto
nuovo e due genitori a carico, varcai i confini europei per
il nuovo mondo.
1993—15 Agosto Sao Juliao, Mato Grosso, Brasile — inizio dell’avventura.
Nella mia vita ho rallegrato centinaia di migliaia di bambini
ed ho fatto innumerevoli rappresentazioni … Tante, ma non troppe
per non ricordarne qualcuna in particolare ed una di queste
fu lo spettacolo presentato nel lebbrosario di Sao Juliao nel
Mato Grosso del Brasile. In tale occasione, fra centinaia di
bambini in festa, che ridevano e applaudivano, mi accorsi di
un bambino che mi osserva con particolare meraviglia e attenzione.
Il suo sguardo andava al di la del gioco che facevo ed era attratto
da un qualche cosa che ancora non conoscevo. Io stesso ero rapito
dalla magia di quello sguardo che mi osservava e guidava i miei
movimenti fino alla fine dello spettacolo. Non mi accorsi nemmeno
degli applausi finali e del pubblico che se ne andava. Al centro
della grande sala c’era rimasto solo lui: Paolino.
Andai da lui e mi disse: “Tu che sei un mago, perché non mi
fai guarire da questo brutto male? Così potrò ritornare dai
miei genitori”. Paolino era malato di lebbra e la mamma lo
aveva abbandonato per paura che venissero contagiati gli altri
suoi figli.
Di fronte a quella richiesta semplice, ma disarmante, la mia
bravura di prestigiatore scomparve (non certo per magia) e
mi accorsi di essere uno sfrattato... un randagio, un personaggio
in cerca di una nuova scrittura teatrale. Quella richiesta
mi suonava nella mente come un impossibile bis ad un prodigio
mai immaginato e realizzato... Nello stesso tempo mi sentivo
tremendamente inutile. I miei trucchetti di magia non erano
più all’altezza dei bisogni reali dei miei piccoli spettatori.
Avrei fatto fagotto con i miei fazzolettini, palline colorate,
fiori di piume e animaletti vari e sarei ritornato in Italia
con una esperienza da dimenticare.
Quella notte non riuscii a chiudere occhio. Poi, all’alba,
istintivamente mi resi conto che era possibile realizzare
qualche cosa di bello e di buono... di magico.
Tutti i miei giochi precedenti erano basati unicamente sulla
bravura dovuta allo studio del sorprendente e all’esercizio
delle mie mani. Era insomma una mia magia, una bella magia,
senza dubbio, ma sempre e solo una mia singola magia, distaccata
dalle attese del mio uditorio. Non avevo mai pensato prima
che era possibile realizzare una magia differente, una grande
magia in cui il pubblico diventava artefice e realizzatore
del lavoro teatrale.
In pratica, se prima cercavo di portare la mia magia al pubblico
per meravigliarlo, ora, invece, non dovevo far altro che portare
il pubblico nella mia magia per entusiasmarlo. Tutto questo
era possibile semplicemente interessando il mio pubblico,
ai bisogni e alle necessità dei bambini meno fortunati dei
nostri.
Unendo le mie qualità magiche di intrattenitore alla generosità
d’animo del pubblico che sempre interveniva numeroso ai miei
spettacoli, speravo così di ottenere il collegamento necessario
per compiere la grande magia di far guarire Paolino dalla
lebbra.
Arrivato in Italia, interessai alcuni miei colleghi maghi
e con l’aiuto dell’organizzazione Mato Grosso di Torino allestii
un grandioso spettacolo di magia. Fu un enorme successo. Così
con il ricavato di quella serata, finalmente Paolino poté
avere le prime cure nel lebbrosario di San Juliao nel Mato
Grosso del Brasile.
L’avventura aveva avuto inizio e con essa nasceva in me una
nuova vocazione e chiamata alla gioia. Sarei diventato il
clown dei piccoli della terra, il mago capace di far compiere
la grande magia della generosità.
Lino Villachà era un ammalato nell’ospedale São Julião di
Campo Grande, soprattutto era un poeta. Attraverso le sue
poesie ringraziava per la vita, esaltava la natura e le persone.
Nonostante la malattia che lo distrusse, dimostrò estrema
sensibilità e gioia di vivere. Pur non avendo ricchezze, regalava
a tutti qualche cosa. A me e a Paolino regalò un sorriso e
una poesia:
Il prete magico
I bambini si sedettero sul pavimento attorno al palco per vedere
più da vicino lo spettacolo. Paolino era ansioso.
I suoi occhi brillavano nella grande attesa... quando il magico,
con la lunga barba, con cappello e mantello ornato di stelle
salì sul palco.
Prese con se un bambino e collocò nella sua mano un oggetto.
Gli girò intorno un paio di volte danzando... ritirò il drappo
e vide che nella mano del bambino era sbocciato un mazzolino
di fiori.
Incredibile! Pensò Paolino.
Ora da un tubo il magico tirò fuori drappi colorati, ognuno
di un colore diverso.
Poi li posò tutti in un sacco.
Lo rigirò, lo toccò con la sua bacchetta magica e ne fece uscire
un grande lenzuolo formato da tutti i drappi colorati che vi
aveva messo...
“Come è possibile...”.
Uscirono poi dalle mani del magico degli anelli lucenti e si
univano nell’aria incatenati gli uni agli altri.
Le sue mani facevano cose straordinarie.
“Sarà che possa fare che la mamma mi voglia bene e che mi accetti
di nuovo a casa?”, pensava Paolino che non sa più dove andare
dopo essersi ammalato!
Ecco viene il magico trasformando con le sue mani i palloncini
in fiori o in una corona che collocò sulla testa di un piccolo.
Una suora scese dal palco con l’aureola di una santa...
Paolino sognava...
Desiderava incontrare un nuovo papà e una nuova mamma che lo
accogliessero come figlio.
E intanto lo show stava terminando.
Il magico adesso è di nuovo prete.
Il suo migliore miracolo ora è di fa uscire dal fondo degli
uomini tristi una fiamma di speranza e di fiducia.
Accendere la luce sul cammino delle persone perse.
La sua maggior magia che nessuno vide fu di far sbocciare nei
cuori increduli un poco d’amore vicendevole e così farci incontrare
l’allegria di vivere e di essere incantati dalla vita.
Lino morirà l’anno seguente a primavera, ma la sua poesia è
penetrata profondamente nel mio cuore di prete e sulle note
di un poema tradizionale Yorubà, ora posso dire: “Bambini della
casa, vecchi della casa, uomini, donne, giovani e vecchi, chiunque
vede un bambino appena nato deve essere contento.
Io sono un bambino appena nato: venite a giocare con me”.
Bolivia
L’estate, in Italia, non era ancora finita. Dal Brasile il mio
viaggio continuò in Bolivia e vi arrivai in pieno inverno. Ero
a 4200 metri di altitudine. A parte il freddo, ero… al settimo
cielo.
Improvvisai spettacoli all’aperto sotto fiocchi di neve, al
chiuso in piccole sale riscaldate da un focolare domestico,
nelle chiese assiepate di gente, in teatri fatiscenti ma zeppi
di scolaresche in festa, all’interno di miniere di tungsteno
nell’altipiano andino, nelle foreste della pianura per i campesinos
delle piantagioni di coca. Arrivai fino al confine con il
Perù, seguendo il percorso dell’immenso lago Titicaca, servendomi
di ogni mezzo: trenino, autobus, fuoristrada o a piedi, sempre
scortato da coraggiosi campesinos che avevano il compito di
difendermi da eventuali attacchi di mercenari appartenenti
a “Sendero Luminoso”: la brutta copia di quello che fu il
“Che”.
1994 agosto - Madagascar
Ormai ero stato contagiato… l’inerzia era stata vinta. Il morbo
dei viaggi aveva preso dimora in me ed io non ne pretesi l’affitto…
tanto meno ne chiesi lo sfratto. Così decisi che ogni anno,
in occasione delle vacanze, sarei andato in un paese del mondo
a rallegrare i bambini delle missioni salesiane e, nello stesso
tempo, mi sarei ricaricato di nuova linfa vitale. Le magiche
esperienze dei viaggi diventarono per me l’elisir di eterna
giovinezza, o meglio, di lunga vita.
Durante l’estate del 1994 andai in Africa e precisamente nella
grande isola del Madagascar. Qui, in un villaggio del Nord,
all’inizio del mio viaggio mi rubarono le valige con dentro
i giochi, Questo avvenne di notte, mentre dormivo. I ladri
furono più maghi di me; si arrampicarono fino al secondo piano
dove era la mia stanzetta, entrarono dalla finestra e mi portarono
via vestiti e giochi. Almeno penso che andò così, perché svegliandomi
non trovai più nulla. Non mi restò altro da fare che improvvisare
un nuovo spettacolo con attrezzi raffazzonati e mantenere
un rigoroso silenzio. Infatti un vero mago non può raccontare
di essere stato derubato, in quanto ne andrebbe della sua
fama di abile veggente. Così dovetti fare buon viso a cattiva
sorte e inventai nuovi trucchi. Con tutto ciò il successo
e le sorprese non tardarono ad arrivare. Verso la fine del
mio viaggio nell’isola, mi trovavo nella missione salesiana
di Ankililoaka. Avevo appena terminato una mia rappresentazione,
quando mi si avvicinarono alcuni abitanti del villaggio. Pensai
che avrei ricevuto i consueti omaggi di ringraziamento per
aver fatto divertire i loro bambini, e già mi preparavo, anche
esternamente, ad un benevolo sorriso di circostanza. Assieme
ai complimenti però ricevetti la richiesta di un mio intervento
magico presso una abitazione del loro villaggio, ma ad alcune
condizioni: che il divertimento non venisse filmato e nemmeno
fotografato e che inoltre terminasse col tramonto del sole,
che in quelle zone tropicali avviene sempre verso le 17, 30.
Le condizioni mi parvero alquanto insolite, ma la curiosità
e la voglia di far divertire sono sempre state una molla più
che sufficienti all’azione, almeno per il sottoscritto. Insieme
al missionario e ai miei collaboratori, raccolsi i miei giochi
in una valigia e, a pomeriggio inoltrato, mi avviai vero il
luogo della mia nuova rappresentazione.
Arrivando in prossimità della capanna sentii canti o voci
di festa. Era un segnale di buon augurio che faceva presagire
uno spettacolo di sicuro successo. Passando lungo la strada
gli abitanti ci salutavano festosi con inviti augurali tipo
“Salamoo...Salamee!”. Ormai mi ero abituato a farmi dare del
“salam...e” da tutti.
Appena giunto, scaricai le mie valigie e chiesi dove avevano
preparato per lo spettacolo. “Venga con noi”, mi dissero in
lingua malgascia. E io li seguii.
Lo spazio riservato per la rappresentazione era l’atrio esterno
della capanna, cioè la strada. Nulla di strano in tutto questo.
Ormai ero abituato a fare le mie magie un po’ dovunque. La
cosa strana, anzi anormale, era che appena fuori della capanna,
proprio vicinissimo al luogo dove avrei dovuto fare lo spettacolo
c’era una tavola di legno con sopra il cadavere di un uomo
anziano, che in seguito seppi essere il capo del villaggio.
L’occasione della mia rappresentazione magica era dunque un
funerale.
In tutti i miei anni passati di richieste “strane” per spettacoli
ne avevo avute. In Italia avevo anche lavorato al mattino
per i democristiani (festa dell’amicizia) e al pomeriggio
per i comunisti (festival dell’unità), anticipando già allora
un possibile compromesso storico e pensavo con quello di aver
raggiunto il massimo; ma, certamente, questa richiesta superava
tutte le altre.
Vi immaginate voi come può essere il biglietto da visita di
un mago del luogo: “Disponibile per feste di piazza, compleanno,
nozze e... funerali”.
Chiesi spiegazioni al missionario, l’unico che poteva darmene,
anche perché non capivo la lingua degli abitanti del luogo.
“Paese che vai, usanza che trovi”, mi disse il mio amico e
continuò “Vedi in queste zone è presente una forte cultura
animista e per loro è importante che l’anima del morto lasci
questa terra in serenità e allegria. Quindi in ogni funerale,
anche se si è addolorati per la scomparsa della persona amata,
l’atteggiamento esterno deve essere quello della festa. Solo
così il morto si avvia sereno verso i pascoli eterni dell’aldilà.
Guarda le loro capanne - continuò il missionario—sono di paglia
e fieno, materiale che si consuma nel tempo. Osserva ora le
loro tombe: sono di pietra e ricche di decorazioni, perché
la vita dopo la morte è eterna e le anime vi devono vivere
bene. Non la pensiamo così anche noi cristiani?. A me pare
che con i nostri pianti e strilli siamo più portati a pensare
alle cose di questa terra che alle realtà del cielo. Riempiamo
di agi la nostra vita di quaggiù e poi è chiaro che ci dispiace
lasciare tutto. Del resto queste sono le rare occasioni in
cui i poveri del terzo mondo mangiano un po’ meglio del solito”.
Era un ragionamento a fil di logica; sicuramente, ripensandoci,
era l’occasione per una più profonda riflessione sull’importanza
del vivere felici, ma più ancora del morire contenti. Preparai
i miei attrezzi e, dapprima con trepidazione, poi con sempre
maggior partecipazione, soprattutto da parte dei numerosi
spettatori, contribuii a far ridere e sorridere quella popolazione,
officiando in tal modo ad un rito di vita eterna. Chissà,
se con il chiasso fatto laggiù sono stato capace a divertire
anche gli spiriti di lassù. Questo resta un mistero... ma
a me piace pensare di esserci riuscito.
Ritornato in Italia, due giorni dopo il mio arrivo, mi recai
in Trentino e precisamente a Tione per uno spettacolo di magia.
Poche ore prima del mio arrivo successe un fatto di sangue.
Un giovane, appartenente alla setta degli arancioni, aveva
ucciso a coltellate una commerciante nel suo negozio.
Arrivato sulla piazza del paese trovai un cartello: “Per lutto
cittadino lo spettacolo di magia non avrà luogo. Il comitato
organizzatore si unisce al dolore dei familiari della vittima”.
Paese che vai usanze che trovi...
1994 - dicembre. Nigeria
Natale con i tuoi, cioè con i miei e… i miei sono sempre stati
i bambini. Cosi il Natale del 1994, passato con i bambini della
Nigeria, fu senza dubbio uno dei Natali più belli della mia
vita.
L’accoglienza che ebbi all’aeroporto di Lagos non si poteva
certo definire benevola. Nella nazione era latente un malessere
che sarebbe poi sfociato in una guerra civile e, a una certa
ora della sera, vigeva il coprifuoco e per poco o nulla poteva
essere applicata la legge marziale. A trarre profitto da questa
situazione di precaria stabilità erano le guardie o militari,
possessori di una specie di arma. Infatti, dopo ben due ore
di attesa per ritirare le valige, mi si presentò una specie
di militare con una pistola lanciarazzi in mano; mi mise contro
un muro, dicendomi che il mio passaporto non era in regola;
però se avessi versato una “piccola” somma di denaro (soli
10 dollari), potevo ritirare le mie valige. Anche se non capii
il nesso tra il passaporto non valido e ritiro delle valige,
pensai che non mi conveniva certo fare l’eroe… anche perché
con me c’era mia sorella Daria, che, a cominciare dalle ginocchia,
manifestava indubbi segni di svenimento. Tirai fuori dalla
mia tasca un biglietto verde da 10 dollari e recuperai le
mie valige… poi ebbi una idea brillante. Mi feci ridare il
biglietto da 10 dollari, lo chiusi tra le due mani e quando
le aprii si era trasformato in un santino, riproducente Padre
Pio, che consegnai al militare. Si può scherzare con i fanti,
ma non con i santi… infatti la guardia, anche se a malincuore,
prese il santino e interpretò il gesto come una benevolenza
degli spiriti. Potenza della magia o… meglio di Padre Pio.
Da allora presi la saggia abitudine di portare sempre con
me, in ogni viaggio, un mazzetto di santini dei principale
santi del calendario romano, compresi San Gennaro e San Giuseppe
da Copertina, fluttuante a mezz’aria come un mago.
A parte questo inconveniente, la mia permanenza in Nigeria
fu tranquilla e piacevole, anzi ovunque venni accolto con
onori davvero regali. Nella missione di Akure, un vescovo
di colore volle essere addestrato alla pratica di alcuni semplici
giochi di magia per allietare le sue pecorelle. In cambio
mi donò lo scettro della sua tribù. A Ondo, il re della contea
si sedette in prima fila, insieme alle sue 25 mogli, per assistere
al mio spettacolo di magia. Da molti fui scambiato per uno
stregone o detentore di poteri diabolici… I piccoli però mi
considerarono loro amico e parteciparono a migliaia ai miei
spettacoli.
1995 – agosto. Filippine e Cina
Il viaggio nelle isole Filippine e in Cina fu per me come un
cammino a ritroso sui sentieri del mistero e del magico primordiale.
L’oriente con i suoi maghi e antiche tradizione ha sempre suscitato
in me immagini mitiche e arcaiche, cariche di un fascino particolare.
In Cina, ad esempio, sapevo che erano nati i più grandi maghi
della storia, con i loro giochi di prestigio ancora validi tutt’oggi.
Dalle isole Filippine, poi, mi giungevano notizia di miracolosi
guaritori che opererebbero con il solo mezzo delle mani, asportando
viscere e tumori, per poi annullare ogni traccia di ferita con
un semplice tocco delle loro mani.
Al di là di questa naturale curiosità, restava fondamentale
in me la scelta di incontrare e far sorridere i bimbi della
terra... soprattutto di quelle terre lontane. E che fossero
lontane quelle terre non lo provava solo in fatto delle 17
ore di volo, ma soprattutto la diversa e sofferta situazione
sociale in cui si trovavano a vivere quelle popolazioni.
Con tutto ciò, anche in quel viaggio, subii il fascino della
giovanissima popolazione delle Filippine. Ancora oggi, l’età
media si aggira sui 22 anni. Una bella differenza con la nostra
Europa, vecchia in tutti i sensi, anche in quello più vistoso
dell’età.
In quelle isole mi divertii e feci divertire la giovane popolazione
con spettacoli improvvisati nelle località più disparate:
dalle scuole rigurgitanti di migliaia di giovani, alle comunità
di narcocenter delle grandi metropoli, dai villaggi montani
del nord con le risaie a terrazzo, alle spiagge delle isole
del sud. In realtà, di fronte all’ingenuità di quella massa
imponente e immobile di ragazzi che sgranavano gli occhi davanti
al fiume immaginifico di trucchi e trasformismi, il primo
a divertirsi fui semplicemente io.
A Tondo, uno degli Slum più poveri del mondo a Nord di Manila,
dove Paolo VI fece il suo primo viaggio nel mondo, feci uno
spettacolo davanti a 12.000 persone, soprattutto bambini e
ragazzi, che assiepavano gli ampi cortili della parrocchia
tenuta dai Salesiani. Non dimenticherò mai i loro volti, i
loro sorrisi, i loro occhi … incredibilmente vivi in una terra
quotidianamente sommersa dal fango e dalla piogge tropicali.
Il tempo è passato… non il ricordo, avvalorato da una fotografia
stupenda e spontanea che diventerà il manifesto della mia
“magia per la vita”. In particolare ricordo poi un altro spettacolo
a San Fernando, a nord di Manila, nella grande isola di Luzon.
Qui il vulcano Pinatubo aveva lasciato ampie tracce del suo
cammino devastante, trascinando a valle fango e detriti vari.
In quella occasione feci il mio spettacolo di magia al secondo
piano di un ampio caseggiato. Strano a dirsi e a vedersi,
ma i giovani spettatori non sembravano affatto spaventati
dall’acqua che ormai stagnava a piano terra, quanto piuttosto
erano ammirati dai miei giochi di prestigio. Potenza della
magia che, se non annulla disagi e disgrazie, ne fa dimenticare,
almeno per un attimo, il triste sapore.
Questa non è che una delle tante avventure vissute durante
i miei viaggi.
Con il viaggio nelle Filippine era compreso anche una sosta
in Cina a Hon Kong e Macao. Era un’offerta speciale… e non
volli rinunciare a questa felice occasione. Naturalmente i
missionari salesiani del posto non mi lasciarono disoccupato.
Feci in quattro giorni ben venti spettacoli in teatri gremiti
di gente, soprattutto giovani e bambini. Era come essere messo
a una catena di montaggio: dodici ore al giorno con brevi
soste per docce rinfrescanti e brevi spuntini a base riso
e carne in agrodolce. L’unico monumento che ebbi il tempo
di visitare fu la facciata della prima grande basilica costruita
dai gesuiti e dedicata a San Paolo a Macao… vera porta della
Cina. Quattro secoli di storia erano scolpiti in quella facciata
1995 – ottobre.
Il giro dei miei viaggi si allargava sempre più e sovente mi
trovavo a dividere la lingua italiana con quella inglese. A
quel tempo il mio vocabolario britannico era essenziale: sapevo
dire: “OK”… ma ero sempre “KO”. Se dicevo: “Tank you”, “Plice”,
“Bay”era sempre di più di quello che, egoisticamente, molti
italiani sanno dire nella loro lingua. Tuttavia questo non era
sufficiente, per cui in ottobre, con l’inizio delle scuole,
pensai di riprendere il cammino sospeso in giovinezza e frequentai
un corso scolastico di apprendimento della lingua inglese. Andai
a Londra a sciacquare i panni in Tamigi e vi restai due mesi
imparando quel tanto che mi permise di presentare il mio spettacolo
di magia anche in inglese.
Con molti errori e altrettanta faccia tosta diventai esperto
nel farmi capire in ristoranti e aeroporti e far sorridere
anche i bambini di madrelingua anglofila. Abbandonai il mio
nome d’arte: “Sales”, che, in inglese sapeva più di svendita
che di altro e mi presentai con il mio nome originario: “don
Mantelli”. Suonava bene… Ero pronto per nuove avventure… e
queste non tardarono ad arrivare.
1996 – febbraio Sud Africa
Il primo paese di lingua inglese in cui andai fu il Sud Africa.
A dire il vero dovevo andare in Liberia, la missione sostenuta
dai salesiani di Londra… ma, all’inizio di quell’anno scoppiò
una guerra civile e la mia magia, utile a far sorridere, serviva
a ben poco contro gli orrori di una guerra. Pensai di andare
in Corea. Telefonai al superiore dei salesiani… ma trovai
la linea occupata. Il secondo della lista era il Sud Africa.
Trovai la linea libera e andai li.
In quel viaggio fui accompagnato da un mio carissimo amico:
Vittorio Balli, allora presidente di uno più importanti circoli
magici italiani e mio carissimo amico. Durante il periodo
del seminario era stato il mio maestro di magia e da lui avevo
imparato gran parte di quest’arte stupenda che ancora ora
non smette di affascinarmi. Con lui avevo organizzato numerose
manifestazioni, tra cui il grande raduno dei prestigiatori
italiani, in occasione dei centenario di San Giovanni Bosco
nel 1988 a Torino. Da alcuni anni era andato in pensione ed
era, quindi, libero da impegni lavorativi.
Così decise, con mia grande gioia, di seguirmi nei miei viaggi
“magici” per il mondo. Facevamo coppia fissa e non solo nello
spettacolo. Diventammo presto amici. Mi trasmise due gradi
valori: la capacità di meravigliare con un gioco di magia
e, molto più importante, di meravigliarsi di tutto e di più…
soprattutto di me stesso. A lui devo molto e quando, l’anno
dopo, al termine di un nostro viaggio negli Stati Uniti, a
New York, fu colto da un brutto malore che lo portò, nel giro
di due anni, alla tomba, o, meglio, nel regno di “magia infinita”,
mi sentii tremendamente solo.
Io penso che la nostra vita sulla terrà non sia altro che
una serie di prove teatrali che ci preparano per la vera grande
recita di magia infinita, in cui, la meraviglia non avrà mai
fine e Vittorino, avendo assimilato la sua parte alla perfezione,
fu pronto al grande debutto molto prima di me. Questo pensiero,
di fronte alla perdita di una persona cara, non mi rallegra
di certo... però mi da conforto e speranza nel continuare
ad affrontare con serenità le »prove« della vita.
1996 aprile India
In Sud Africa, restai un mese, il tempo necessario per acquisire
una discreta padronanaza della lingua inglese nel fare spettacoli.
Così in aprile di quello stesso anno ero, sempre con Vittorio,
già in India, dove feci i miei spettacoli di magia in scuole
di almeno tremila studenti, in ospedali, nei cortili di parrocchie
strapieni di bambini in festa. In quella magica terra avevo
Incontrato la gioia, ma anche tanta povertà, frammista ad
altrettanta disperazione, ma mai come a Calcutta avevo sperimentato
i giganteschi problemi che angustiano i poveri della terra
come la fame, la malattia, l’ingiustizia la crudeltà, soprattutto
l’indifferenza dei potenti.. E qui incontrai Madre Teresa…
un sorriso in mezzo alla miseria. Ho incontrato questa “piccola-grande
anima in una mattina di sole, in una di quelle mattine che
oserei dire, parafrasando lo slogan di un noto prodotto pubblicitario,
con il sorriso in bocca. Un sorriso, ma sulla faccia di un
essere avvilente, come avvilente e sporco è lo slum in cui
si trova la casa madre delle suore missionarie della carità
in Calcutta… una città senza confini e senza barriere dove
le baracche affiancano i palazzi dell’era coloniale e dovunque
migliaia di persone dormono per le strade, nutrendosi di avanzi
che disputano ai ratti, soffocati da un inquinamento insopportabile
e sommersi dai rifiuti.
Quel mattino del 12 aprile 1996 accettai con gioia l’invito
di un missionario salesiano a celebrare una messa nella cappella
della casa madre delle suore della carità in Calcutta. Sapevo
che sarebbe stata presente la stessa Madre Teresa.
Di tutte le messe ascoltate e celebrate nei miei anni di sacerdozio
quella fu senz’altro la liturgia che maggiormente mi avvicinò
a Dio.
La cappella non aveva nulla di particolarmente artistico:
consisteva in un ampio stanzone spoglio di fronzoli, al primo
piano, con le finestre aperte su una via del centro di Calcutta.
Li, in un angolo, al limitare della porticina d’ingresso,
Madre Teresa, ogni giorno alle cinque del mattino, assieme
ad un centinaio di suore- missionarie della carità, assisteva
alla messa, mescolando il suo canto al vociare grossolano
e al rumore assordante di carri e di camion proveniente dalla
strada piena di vita. Eppure, come per incanto, il rumore
in quello stanzone non guastava la devozione, anzi diventava,
nella messa, il canto implorante del mondo che ripeteva: »Perché?«
e chiedeva un posto nella preghiera dei santi, un posto prediletto
vicino alla tenerezza di Madre Teresa.
Un uomo agonizza sul marciapiede della metropoli, sfinito
di stenti e di febbre. Un uomo? Domani all’alba il carro dell’immondizia
pulirà la sua impronta. Oppure no. Oppure mani affettuose,
accarezzano quel volto morente, lo prendono in grembo, gli
parlano, lo accompagnano, gli stanno vicine.
»Perché – ci chiediamo dal nostro carro di monatti attrezzati—tanto
muore lo stesso. Muore lo stesso, sì, ma come un uomo, non
come un cane; e forse per lui è la prima volta che diventa
un essere umano«.
Se ripenso a questa prima esperienza a me personalmente narrata,
dopo la messa, da Madre Teresa, quando raccolse da una fogna
aperta un uomo disfatto e coperto di vermi e lo portò a casa,
sento di nuovo l’urto di questi infiniti perché che giungevano
dalla strada durante la messa . E mi si pianta in cuore la
risposta di quella suorina dall’aspetto di niente, curva nel
sari bianco bordato di blu, con quegli incredibili occhi costantemente
sereni: “Per amore, soltanto per amore”.
1996
13 aprile - Il giorno dopo e precisamente il 13 aprile ebbi
la grande soddisfazione di esibirmi di fronte a Madre Teresa
in persona.
Si dice che i giochi di magia piacciono ai grandi ma divertono
i piccoli. Durante il mio spettacolo a Calcutta madre Teresa,
più che compiacersi, si divertì un mondo… segno che il suo
cuore era restato un cuore di bambino. Diversamente come avrebbe
avuto il coraggio di credere nell’amore e nella povertà, come
avrebbe avuto l’incoscienza di lottare contro le forze del
male e dell’egoismo… come, ora, avrebbe potuto entrare direttamente
in Paradiso, passando attraverso la porta dei privilegiati?
“Lasciate che i bambini vengano a me, perché di essi è il
regno dei cieli”.
Al termine dello spettacolo ebbi un colloquio e fui gratificato
dalla sua benedizione. Mi lasciò con un foglietto su cui erano
scritte date e località: Era un calendario di spettacoli nelle
varie case delle sue suore e dei suoi poveri: Era diventata
la mia impresaria in India. Buon segno per quando dovrò essere
ammesso in paradiso. Intanto qui in terra vado avanti con
la sua benedizione e il suo augurio di speranza: “Ricordati
- mi disse, - che dietro le nuvole ci sono sempre mille soli”.
Così la sua testimonianza mi incoraggia ancora oggi e domani
a scoprire la forza dell’uomo, la sua capacità di sognare,
di credere, di trionfare anche nelle peggiori avversità.
Per me quello fu un giorno memorabile…(come scriverebbe uno
studentello di primo pelo nel suo compito in classe di italiano).
Avevo fatto sorridere colei che la gente chiamava ”santa”
anche quando era ancora in vita. Mi ero avvicinato al cielo
e, anch’io, come i molti poveri da lei aiutati, ero entrato,
attraverso la sua parola, il suo saluto e l’audacia della
sua umiltà nella profonda tenerezza di Dio.
Una donna coperta di misera tela,
ornata di nulla,
vestita di tutto,
vestita di Te.
Reliquia di un cuore che batte,
che soffre,
che cerca,
che spera,
che implora perdono,
anche per se…
nell’abbraccio di un bimbo che muore.
1996 - Agosto
Orami la febbre dei viaggi si era impadronita di me. Praticamente
ritornavo in Italia unicamente per cambiare la biancheria.
Così portavo in patria parte degli odori del mondo, che, insieme
alle fotografie, davano una visione esatta di come era ed
è la vita in quei paesi. Sempre proseguendo verso est, sulle
strade di Marco Polo e di altri grandi esploratori io andavo
alla ricerca e alla conquista di un tesoro prezioso: il sorriso
dei bimbi e questo mi arricchiva sempre più. In Agosto dall'India
proseguii verso la Tailandia,prima, e verso la Cambogia e
il Vietnam, dopo.
In Tailandia preparai una grande illusione che avevo visto
fare solo nei film: sparizione dell'elefante con bambini in
groppa. Il trucco riuscì talmente bene che andò in onda sulla
televisione nazionale. Ebbi subito molte offerte di lavoro.
Tra le tante, un ricco mercante di Pukè, mi portò un elefante,
con moglie e suocera incorporati e mi offrì milioni di bat
per la sparizione dell'intero blocco. Naturalmente non gli
interessava tanto la sparizione dell'elefante, quanto quella
dei passeggeri a bordo.
In quella terra, con parvenza di ricchezza e benessere, che
aveva persino rifiutato l'assistenza delle suore di Madre
Teresa, feci molti spettacoli nelle comunità di recupero per
tossici e malati di AIDS.
Se la povertà della Tailandia era nascosta e meno evidente,
non si poteva dire la stessa cosa della Cambogia. Quella nazione
riassumeva, a quel tempo, tutto ciò che di negativo può patire
un essere umano: un genocidio messo in atto dai cambogiani
stessi negli anni '70; la presenza invadente dei vietnamiti
per tutti gli anni '80 e un colpo di Stato riuscito negli
anni '90. La Cambogia di allora con i suoi 11 milioni di abitanti
di cui l'85% viveva nelle zone rurali, produceva un reddito
che non copriva nemmeno il proprio fabbisogno. L'analfabetismo
riguardava circa il 65% della popolazione compresa tra i 15
ed i 19 anni; tra i giovani che terminavano la scuola elementare
circa il 90% non proseguiva gli studi in quanto aveva bisogno
di lavorare per sopravvivere.
la Cambogia, ancora ora, è la nazione al mondo che ha la più
alta percentuale di handicappati fisici per scoppio di mine
ed è annoverata tra i dieci stati più poveri al mondo. L'emergenza
AIDS era preoccupante e, attualmente, è la causa principale
dei decessi. La struttura sanitaria era praticamente assente(nella
capitale ad esempio esisteva una sola ambulanza che dovrebbe
servire oltre un milione di abitanti) e le malattie, nonché
i decessi causati dalla malnutrizione erano in percentuale
altissima.
La Cambogia stava allora ricominciando la sua storia, dopo
decenni in cui le atrocità e le distruzioni erano state all'ordine
del giorno. Un'innumerevole serie di violenze erano state
perpetrate all'epoca del regime di Pol Pot contro il corpo
insegnanti. Lo stesso, Pol Pot, anche se si era laureato alla
Sorbona di Parigi, diceva »Tutti gli esseri umani sono uguali;
quindi nessuno deve ricevere un'istruzione. Per coltivare
la terra questa non è necessaria«. Su questa credenza il regime
aveva portato a termine l'uccisione di chiunque svolgesse
attività di insegnamento, aveva operato la distruzione di
tutti i libri di testo ed aveva intentato l'eliminazione di
tutte le tracce di cultura diverse da quelle del regime stesso.
Questo genocidio aveva causato la morte di più di tre milioni
di cambogiani e la fuga fuori dai confini del Paese di circa
un milione e mezzo di persone.
La struttura scolastica locale era, quindi, inesistente o,
alla meglio, inadeguata: gli insegnanti ricevevano salari
molto bassi che non li incentivavano a mantenere il posto
di lavoro. Il loro stipendio infatti si aggirava sui 10 dollari
al mese. Inoltre avevano una preparazione in molti casi molto
bassa, alcuni sapevano a malapena scrivere, e non avevano
alcuna conoscenza specifica riguardo le tecniche di insegnamento.
Questo era l'ambiente in cui io cercai di presentare le mie
magie e non mi stupii più di tanto se il pubblico presente
aveva difficoltà a sorridere. Per la prima volta mi trovai
veramente a disagio. Già con Paolino, il bimbo brasiliano
incontrato nel lebbrosario di San Juliao, avevo provato questa
difficoltà, ma la mi trovavo di fronte a un caso singolo.
Qui, il diritto al sorriso era stato annullato e negato a
un'intera popolazione e la »popolazione« che assisteva ai
miei spettacoli era composta essenzialmente di bambini. Alle
sera di quel mio primo giorno in Cambogia, quando fui solo,
piansi. Quelle lacrime furono liberatorie per me e provvidenziali
per molti bambini cambogiani. Decisi che, appena possibile,
avrei iniziato un'opera di aiuto e di assistenza a quanti
più bambini possibili della Cambogia.
Attualmente la mia Fondazione sta aiutando più di mille bambini
cambogiani, attraverso l'opera delle adozioni a distanza e
la richiesta di assistenza da parte di benefattori, si sta
allargano sempre più, come una macchia d'olio, una macchia
di comune solidarietà per dare un tetto, un pasto, una scuola,
ma soprattutto un gesto di affetto al sorriso ritrovato di
tanti bambini cambogiani.
Il mio viaggio in Asia non era ancora finito. Rimasi in Cambogia
soltanto una decina di giorni. A Phnom Phen feci uno spettacolo
in un monastero buddista di fronte più di cento monaci; poi
varcai i confini verso est in direzione del Vietnam.
Allora e, forse ancora adesso, in Vietnam vi era una legge
che vietava le assemblee pubbliche con più di dieci persone.
I miei spettacoli di magia non erano certo un affare privato,
così, appena fui a Saigon, aprii le mie valige e feci uno
spettacolo davanti a più di mille persone, presenti anche
i funzionari di partito, che, intelligentemente capirono che
un sorriso non poteva certo ledere al potere proletario. Naturalmente
non dovevo presentarmi come prete. Il buon Dio, mi avrà certo
perdonato questo piccolo peccato di passata gioventù. Al nord
del paese, dove il regime era più intransigente, ricevetti,
invece, onori quasi regali.
Ad ogni spettacolo mi offrivano corone di fiori e i bambini
mi venivano vicini e mi toccavano per convincersi che ero
di carne e ossa. Ci fu un'occasione, in cui arrivai sul posto
della manifestazione con quattro ore di ritardo. Le strade
era pessime e i mezzi di comunicazione non erano da meno.
Io pensavo di non trovare più nessuno, invece dovevo sbagliarmi
sonoramente. Non solo non ricevetti improperi, ma fui accolto,
all'ingresso del paese, da una banda musicale, poi il sindaco
del villaggio fece il suo discorso e alcuni bambini mi offrirono
una corona di fiori. Infine tutta la popolazione del villaggio
(più di tremila persone) pretese che io mi accomodassi alla
mensa preparata da ore per me e per gli altri ospiti. Prima
dello spettacolo il missionario aveva programmato una messa
solenne e, tutti, nessuno escluso, assistettero con una devozione
encomiabile, alla celebrazione eucaristica. Con un comportamento
così non mi stupii più se quella popolazione era risultata
vittoriosa di fronte al sovrapotere delle truppe di occupazione
coloniale sia francesi che americane. Una enorme differenza
anche con i pensionati del nostro paese che inveiscono se
sono costretti ad aspettare in coda presso uno sportello,
prima di ritirare la loro pensione.
1996 ottobre Stati Uniti
Nell'elenco dei paesi da visitare non poteva mancare la »babilonia«
delle genti; il paese a stelle e strisce. Negli Stati Uniti
andai per due motivi: primo per migliorare il mio inglese e,
secondo, per allargare i miei contatti con i prestigiatori del
mondo. In realtà avevo sempre desiderato visitare questo stupendo
paese, con i suoi grattaceli, con i suoi parchi di divertimento,
con la sua varietà di popolazione e... con Topolino e Paperino,
i miei eroi preferiti da sempre.
Ci andai con Vittorio Balli e vi rimasi due mesi. Fu un periodo
della mia vita passato allegramente... certamente fu la più
bella vacanza vacanza della mia vita... di cui non ho mai
avuto rimpianti. Avevo necessità di ricaricare le mie "batterie"
e quando feci il pieno, la mia vacanza era terminata. Ritornai
in Italia per le feste natalizie e, con il nuovo anno, ero
pronto per una grande iniziativa. In febbraio, con alcuni
collaboratori salesiani e benefattori laici fondai una Associazione
per la difesa dei diritti dei bambni nel mondo: era l'Associazione
Mago Sales. I Salesiani mi diedero persino una nuova sede,
sempre in via Paisiello, al secondo piano di uno stabile di
ben 800 metri quadri. Qui iniziai a depositare i miei ricordi
e, in breve sorse un vero e proprio museo della magia, una
biblioteca magica, unica in Italia. Iniziai una scuola...
naturalmete di magia, fondai un giornalino dal titolo: "Sim
Sales Bim" e mi misi nel commercio equo, magico e solidale:
aprii, cioè, una casa magica per corrspondenza. Comperavo
giochi di prestigio e di gicoleria dall'India e li rivendevo
in Italia a missionari e giovani prestigiatori. Il ricavato
naturalmente andava in opere di soidarietà. Riuscii persino
a costruire un dispensario in Nepal.
1997 aprile Pakistan e Nepal
Andai in Nepal la prima volta nell'aprile del 1997 con un'organizzazione
italiana per le adozioni internazionali dal nome un po' strano
NAAA, ma molto ben organizzata. Il viaggio prevedeva una sosta
in Pakistan, a Karaci e qui fui protagonista di una vicenda
incredibile e inimmaginabile... ai giorni nostri.
LA VERA STORIA DI KALIM
Una telefonata mi svegliò nel cuore della notte. Ero alloggiato
all’Hotel Marriott nel centro di Karachi in Pakistan. »Always
in the right place at the right time« (siamo sempre nel posto
giusto al momento giusto) diceva lo slogan di benvenuto dell’albergo.
Purtroppo tale rassicurante affermazione, letta distrattamente
il giorno prima, arrivando dall’Italia, mi sembra ora molto
poco attuale, certamente un po’ provocatoria… e il seguito
di questa mia avventura ve lo dimostrerà. “Hello!”, dissi
stancamente, sollevando la cornetta del telefono.
Chi mi chiamava era una persona molto influente del consolato
italiano a Karachi. L’appello e l’invito che mi giungevano
dall’altro capo della linea telefonica fu l’inizio di una
incredibile e tremenda vicenda, che non pensavo assolutamente
potesse ancora succedere sulla terra. La richiesta fu senza
mezzi termini: “Dobbiamo partire immediatamente perché ci
è giunta una nuova segnalazione”, mi dissee la voce al telefono,
“Se vuoi, puoi venire con noi. Così saprai finalmente che
quello di cui abbiamo parlato l’altra sera è tremendamente
vero”.
Dopo una breve lotta tra due M: materasso e mobilità, vince
in me la curiosità. Un’ora dopo ero a bordo di un fuoristrada
che, dopo aver attraversato velocemente le vie deserte di
Karachi, si avviò lungo una strada polverosa, fiancheggiata
da distese coltivazioni di cotone. La meta era top secret.
Sapevo soltanto che distava ben 6 ore di macchina dalla capitale
e che stavamo percorrendo la strada lungo la piana dell’Indo
che portava a nord verso Hiderabad, nella regione del Sind.
Per allentare la tensione che pesantemente avvolgeva la nostra
comitiva, la guida accennò ad alcune note di un allegro canto
afgano... ma, data la situazione, sembrava più un lamento
funebre che un canto di gioia. Dopo una veloce sosta al ristoro
di un villaggio, arrivammo a destinazione. Lasciammo la macchina
al bordo della strada e ci avviammo lungo un sentiero che
si destreggiava tra aridi campi disseccati. La nostra guida
ci disse che da mesi non pioveva in quella regione e il vento
del sud aveva ormai bruciato l’intero raccolto di frumento.
I nostri occhi erano testimoni di una povertà estrema, segnata
sui volti dei numerosi abitanti del villaggio. I bimbi sembravano
i macilenti personaggi di una favola di Dickens fine ottocento,
e i vecchi parevano ridicoli contorsionisti nel tendere la
mano che un tempo veniva offerta unicamente al saluto, ma
ora, per necessità, veniva tesa per richiedere soccorso e
elemosina. La fretta ci fu di guida. Così senza rispondere
ai saluti dei bimbi e alle richieste degli anziani, entrammo
in un capanno di latta e stracci. L’odore sgradevole di umanità,
o meglio la puzza di sporco frammista al caldo stagnante,
ci prese alla gola, ma fu presto annullata dalla angosciante
sensazione che provammo alla vista di un gruppo familiare
stremato dalla fame e dalla vergogna di dovere accettare il
ricatto di un ignobile mercante. Finalmente la persona che
mi aveva interpellato al telefono svelò il motivo della nostra
spedizione al villaggio. Eravamo venuti per riscattare un
bimbo; cioè per comperarlo, naturalmente ad un prezzo poco
superiore di quello che sta per essere offerto da un mercante
di schiavi arabo. Il raccolto della terra era andato perso
a motivo della siccità e i contadini della regione, non avevano
neppure i soldi per pagare il debito contratto dal proprietario
dei terreni a seguito dell’acquisto della semente e degli
attrezzi agricoli… Quindi quella famiglia si rassegnava a
pagare il debito vendendo un figlio. Una prassi tremendamente
normale presso la popolazione di quei villaggi abitati esclusivamente
dalla tribù non mussulmana dei Bagri. Un tempo, prima della
rivoluzione del 56, tale popolo era molto ricco e possedeva
praticamente tutte le terre tra il fiume Indo e il confine
indiano. A seguito della riforma e conseguente rivoluzione
islamica gli Indù o i non mussulmani che non vollero fuggire
in India, furono praticamente spodestati delle terre e costretti
a lavorare come schiavi a servizio dei nuovi padroni islamici.
Quella volta il debito contratto era molto alto: 3.000 dollari.
Tanto serviva per riscattare Kalim, il bimbo di appena cinque
anni. Il prezzo venne pagato al padrone del terreno e noi
diventammo “proprietari” di un bimbo. In effetti Kalim verrà
portato in un istituto di Karachi,gestito da un gruppo di
giovani focolarine, dove fu curato e assistito. Kalim fu il
primo bimbo “comperato”, nel vero senso della parola e aiutato
dalla nascente Associazione Mago Sales a ricuperare la gioia
della vita. Il cammino, però, era soltanto iniziato. Ancora
ora, infatti, la cessione di bambini per il pagamento dei
debiti avviene tra tutte le popolazioni o tribù del Pakistan,
siano esse mussulmane che non mussulmane. I bambini venduti
diventano schiavi o prostitute oppure vengono mutilati per
l’accattonaggio. A volte vengono rivenduti e vengono mandati
nei paesi del Golfo per impieghi analoghi. E’ risaputo che
dall’India vengono comperati da parte di ricchi possidenti
dei paesi o emirati arabi, bambini indiani, perché costituzionalmente
molto piccoli e leggeri, al fine di essere usati come fantini
nelle innumerevoli corse con i cavalli… Sport tristemente
noto per le enormi scommesse in denaro, proprio di quei paesi.
Attualmente sembra che il mercato di bimbi sia in continuo
aumento nel mondo, Si dice che ogni mese dal porto di Karachi
parta una nave con circa tremila bimbi: destinazione ignota,
come ignota è sicuramente la fine che faranno tutti questi
innocenti. In una piazza di Karachi un’organizzazione umanitaria
islamica denominata Edhi ha costruito una culla di pietra,
coperta da un tettuccio di latta, su cui c’è scritto: “Do
not kill” (non ammazzare). Il riferimento e l’invito è rivolto
alle mamme o a coloro che pur non volendo più un bambino,
sentano la necessità di non disfarsene, buttandolo in un cassonetto
della spazzatura. Ogni notte vengono deposti nella culla dai
3 ai 10 bimbi e prontamente il custode, nascosto in una stanza
accanto, accorre, al trillo di un campanellino, per prelevare
i neonati. Nessuno ha mai saputo che fine facciano quei bambini
e non si vuole pensare il peggio… Certo è che il sistema islamico
non accetta “l’istituto delle adozioni!”.
1997 agosto - Brasile Amazzonia
In Brasile ci andai la seconda volta nell’estate del 1997
e “approdai” a Manaus, nel cuore dell’Amazzonia. In questa
città, infatti, si arriva solo con “approdi”: o per cielo,
o per fiume. Siccome mi avevano riferito che i primi missionari
vi erano arrivati attraverso le acque dopo un viaggio durato
sei mesi, guadando fiumi immensi e torrenti con cateratte
spaventose, preferii servirmi dell’aereo. Ci arrivai così
sano e salvo… soprattutto con l’animo allegro per sfoderare
le mie magie tra merenghe a carioca. Troppo sovente il Brasile
ci viene presentato come terra di carnevale e pan di zucchero.
Invece, anche se non è più considerato un paese del terzo
mondo, esso ha un indice di criminalità e povertà giovanile
molto elevato. I ragazzi di strada, chiamati “meninos de rua”,
sono un fenomeno in continuo aumento nelle grandi città del
Brasile e, Manaus, come altri centri dell’Amazzonia, non faceva
certo eccezione. Però qui i ragazzi che, ancora ora, vivono
nella strada, organizzandosi in bande e sfruttando ogni espediente
possibile per vivere, hanno un loro paladino di difesa: è
il padre salesiano belga don Bento Lefevre, che io ho incontrato
in uno dei tanti “centri pro menor” da lui creati a servizio
e vantaggio dei bambini di strada. Io penso che Padre Bento
sia “la madre Teresa dei bambini poveri dell’Amazzonia, dove
è presente un tipo di povertà diversa da quella dei bambini
indiani, ma pur tuttavia, non meno deprimente e devastante.
Padre Bento “approdò” in Amazzonia molti anni fa e subito
l’amore che egli nutriva per i giovani e per i ragazzi lo
stimolò ad interessarsi alle loro condizioni sociali di vita,
prima ancora che alle loro appartenenze religiose. Restò subito
fortemente impressionato come un gran numero di bambini fosse
sfruttato attraverso il lavoro di vendita per le strade dai
numerosi fabbricanti della città. Subito raccolse presso di
sé un numero discreto di questi bambini (dieci in tutto) e
propose un diverso sistema di vendita. Comprò un frigorifero
e produsse dei ghiaccioli; poi invitò i ragazzi a confezionarli
e a venderli per le strade. L’intero guadagno, detratte le
spese, venne ripartito tra di loro. Fu subito un successo.
Dopo un mese i ragazzi diventano 40. Usando tutta la sua immaginazione
e tenace operosità per creare nuove opportunità di fabbricazione
e di vendita dei nuovi prodotti, padre Bento cercò aiuti finanziari
dentro e fuori del paese. Con queste “sovvenzioni della provvidenza”
comperò dei tricicli per il trasporto veloce della merce,
comperò nuovi macchinari… aumentarono i frigoriferi e allo
stesso tempo aumentarono anche i ragazzi. Presto alla gelateria,
si affiancò una panetteria, poi un laboratorio di meccanica,
di scultura e ancora una fabbrica di caffè.
Dopo pochi anni i centri si moltiplicarono. Quando io visitati
il centro di Manaus, questi erano presenti nei più grandi
centri di ben cinque stati del Brasile. Il secondo centro
pro menor che ebbi il piacere di visitare fu quello di Humaità,
culla del progetto umanitario di padre Bento. Anche lì, naturalmente
aprii le mie valige e presentai la mia magia confrontandola
con quella spontanea dei ragazzi brasiliani.. di quelli che
andavano con piacere alla scuola… perché era una scuola diversa,
una scuola di vita. Allora capii che si poteva essere maghi,
anche senza fare i trucchi di magia, senza usare la bacchetta
magica… bastava avere il coraggio di amare i ragazzi e di
credere nella provvidenza. Un tempo nella piccola cittadina
di Humaità c’erano centinaia di ragazzi di strada. Nel 1997
erano scomparsi: magia di un padre salesiano e meraviglia…
anche per un mago come me.
1997 Novembre - NEPAL
In Nepal ci andai la seconda volta in occasione del Natale
del 1997. Il re aveva un orfanatrofio a Katmandù... In realtà
non sapeva di averlo; lo aveva probabilmente reditato dai
suoi discendenti e a gestirlo era un ente governativo con
a capo un bramino che si vantava di saper fare dei giochi
di prestigio. Il nome dell'orfanatrofio è »Balmandir«. Io
avevo conosciuto il bramino nel mio precedente viaggio e lui
si era mostrato molto interessato ai miei giochi.
Al momento dell'addio ci eravamo lasciati con una promessa:
lui avrebbe pubblicizzato il mio spettacolo nel reale teatro
di Katmandù ed io sarei ritornato per proporre le mie magie
ai dignitari dello Stato, compresa la famiglia reale... Naturalmente
l'incasso sarebbe andato, corruzione pernmettendo, a vantaggio
dei poveri orfanelli. Non era passato un anno dal nostro addio
e il bramino aveva mantenuto la sua promessa. Così a novembre
dello stesso anno, io ero nuovamente alle falde dell'Himalaia,
in quel paese stupendo.
Sembrava tutto programmato, ma, il destino o, meglio, la provvidenza
aveva ben altri intendimenti e fece deviare il mio »cammino
teatrale« verso lidi ben differenti... certamente più vantaggiosi
per i bambini del mondo e per me.
Infatti, a sorpresa, alcuni giorni prima del mio arrivo era
arrivato nel paese il più grande mago-prestigiatore dell'India,
famoso in tutto il mondo: il grande Sorgar Junior, figlio
del grandissimo Sorcar senior e aveva allestito il suo spettacolo
nello stesso teatro reale di Katmandù, naturamente,davanti
all'intera famiglia reale. Le repliche poi si erano ripetute
per più settimane e... quando io arrivai, lo spettacolo era
ancora in programmazione. Così, a me non restò altro da fare
che assistere allo spettacolo, complimentandomi con il grande
artista. Il giorno dopo incontrai un gruppo di medici e infermieri
che operavano, con un programma di prevenzione sanitaria a
vantaggio dei bambini, nella zona del Tarai, una regione molto
povera al confine con l'India. L’associazione mago Sales propone
e chiede una raccolta di fondi per l’acquisto di vitamina
A e E da distribuire ai bambini nepalesi della regione del
Tarai. Attualmente in questa regione ci sono più di 200.000
bambini tra i due e i sei anni che sono colpiti da malattie
per i vermi, quali dissenteria, per mancanza di Vitamina A
e E. Il costo di una dose di vitamina è di 36 rupie (equivalente
a Lire 1.000) ed è valida per sei mesi. Inoltre una sola dose
può essere somministrata a ben tre bambini dai due a cinque
anni.
Quindi… con solo 1.000 lire
(meno di una merendina)
puoi ridare al salute ad un bimbo per un anno.
QUESTA E’ VERA MAGIA
Molti, soprattutto artisti prestigiatori, hanno già iniziato
a collaborare, mediante offerte e proposte, ma molto resta
ancora da fare. Per aiutare il mago Sales a vincere questa
battaglia, potete inviare le offerte mediante Conto Corrente
Postale n. 37533106. L’associazione Mago Sales sarà presente
alla fiera del libro di Torino dal 21 al 25 maggio ’98, anche
per proporre questa magia umanitaria. Intanto ringrazia la
redazione del Maurizio Costanzo show per l’aiuto e il sostegno
generosamente offerto attraverso la trasmissione
Buon natale a tutti: ai belli e ai brutti, ai dirigenti e
ai dipendenti, ai piccoli e ai grandi, ai simpatici e ai gelosi,
ai maghi e ai teatranti … a voi che amate la mia commedia,
la musica, la poesia e l’illusione.
Buon natale a tutti… soprattutto ai bambini del mondo: a quelli
che voi avete aiutato a vivere meglio il dono della vita;
a quelli che, con un vostro prossimo contributo, potranno,
ora, frequentare un corso di studi o semplicemente correre
liberi su un prato.
Vi scrivo questa lettera dalle colline del Tarai, al confine
con l’India, in Nepal, dove ho portato il contributo di molti
di voi che hanno scelto di salvare i bambini colpiti da dissenteria
per mancanza di vitamine. Domani farò le mie magie in un villaggio
di nome Lumbini, luogo di nascita del Buddha. Per i bambini
che incontrerò sarà certamente un natale di vita.
1998 Agosto - ANTILLE
UN BICCHIERE DI LATTE AL GIORNO
PER I BAMBINI DI HAITI
(sottoscrizione natalizia… non a premi)
Per questo nuovo anno abbiamo scelto i bambini di Haiti. E’
stata una scelta obbligata… data la povertà in cui vive la
maggior parte dei bambini di questo stato, considerato il
terzo popolo più povero della terra, dove la mortalità infantile
si aggira sui 103 per 1000, dove il 43% dei bambini soffrono
di malnutrizione e il grado di alfabetizzazione è al di sotto
del 50% (rapporto UNICEF 1997). Io, mago Sales, sono stato
in questa parte dell’isola nel mese di agosto per fare i miei
spettacoli di magia ed ho visitato la “cité du soleil”, il
quartiere più povero della capitale, dove, da anni, lavorano
i salesiani, aiutati da numerosi volontari.
Qui i figli di Don Bosco hanno iniziato un’opera di recupero
dei bambini più poveri, attraverso centri di alfabetizzazione
e di avviamento al lavoro. In queste scuole più 10.000 bambini
trovano ogni giorno un maestro, una mano amica, un quaderno
e un bicchiere di latte. Data la situazione ambientale, estremamente
povera, ad un mago non si poteva che chiedere una magia: quella
della solidairetà.
La nostra proposta e l’impegno dell’associazione è stata quella
di coprire il fabbisogno di latte per i 10.000 bambini della
cité du soleil per la durata del prossimo anno 1999. Il costo
totale annuo è di 200.000.000 di lire.
Una stupenda magia per preparci a vivere meglio l’ormai prossimo
anno 2.000.
Sappiamo che la cifra “suona” molto alta e stonata se divisa
per pochi benefattori. Confidiamo però nella sensibilità dei
molti. Pensate con sole 20.000 lire potete offrire un bicchiere
di latte ad un bimbo per la durata di un anno. Un bicchiere
di latte al giorno per i bambini della “Citè du soleil” di
Haiti.
Buon Natale a tutti
1999 Giugno - ALBANIA
2000: Giubileo di pace – Anno di ringraziamento
Benedico il Signore per avermi creato; ringrazio i miei genitori
per avermi amato e per avermi fatto nascere. Mi ritengo veramente
fortunato per le persone che ho incontrato, che mi hanno aiutato
a coltivare questa stupenda passione per il teatro e per la
prestidigitazione.
Infatti attraverso la magia, come spettacolo, ho avuto l’occasione
di conoscere personaggi stupendi, di incontrare migliaia di
giovani e ragazzi, di viaggiare attraverso luoghi e nazioni
che mi sarebbe stato impossibile visitare normalmente. Così
è stato per la Somalia, un nazione che ha trovato solo recentemente
un barlume di pace e tranquillità. Quando mi recai nel giugno
dell’anno 2000, il paese era ancora in guerra per odi tribali.
Dopo un volo di circa due ore con un aereo della comunità
europea atterrai su una pista di sabbia nei pressi del mare.
Di qui, scortato da ben sei militari armati fino ai denti,
venni condotto nel villaggio del SOS, un’organizzazione austriaca
che lavora, nel mondo, a vantaggio di bambini orfani e bisognosi.
Qui, il pomeriggio seguente, feci il mio spettacolo alla presenza
di più di mille persone, fra bimbi, dipendenti e gente locale.
Uno spettacolo come tanti… ma uno spettacolo che certo non
dimenticherò facilmente. Il calore affettivo con cui venni
accolto fu stupendo; l’attesa era visibile sul volto di tutti:
piccoli e grandi e ovunque si respirava un’aria, oserei dire,
magica.
Ma più di ogni altra cosa, furono le parole di un medico somalo
a rendermi pienamente felice e dare importanza ai miei piccoli
gesti di istrione magico. Ebbene Pasquale (questo era il nome
di quel medico: un nome che gli era stato dato nella sua infanzia
quando frequentava un collegio gestito da frati francescani
di origine italiana) si rivolse a me, al termine dello spettacolo
con queste commosse parole: “Caro amico, ti ringrazio perché
in quest’ora di spettacolo, vedendo i bimbi sorridere e la
gente divertirsi come non mai, io ho dimenticato tutti gli
orrori di questa nostra inutile guerra. Erano dodici anni
(dall’inizio del conflitto) che io non ridevo così a lungo.
Grazie… amico, per avermi ridonato la gioia del sorriso!”
Quando lo abbracciai sentii le sue lacrime sulla mia spalla…
lacrime di gioia… le prime dopo tante altre di sofferenza
e di paura.
Io allora pensai a tutte le cose belle che sappiamo fare e
che abbiamo il dovere di dare a coloro che incontriamo… senza
interesse, perché questo non diventi un lavoro e quindi una
fatica, ma si realizzi con l’entusiasmo e il coraggio di una
libera scelta donata.
Il mattino dopo, al momento della mia partenza, salutato dal
coro festoso dei numerosi bambini dell’istituto, Pasquale
mi si avvicinò e mi salutò con una richiesta: »Mago… ti prego,
non mollare; continua così! Porta la gioia dei tuoi giochi
a quanti più bimbi possibile… Allora la tua vita non sarà
passata invano«. Lo salutai con un abbraccio e ci lasciammo
con una promessa: »Certamente, con l’aiuto di Dio e con la
collaborazione di tanti amici, faremo qualche cosa di grande
per i piccoli della terra«.
Contenuti e obiettivo (una proposta che sta diventando realtà)
Durante la manifestazione di maghi e giocolieri presso il
luogo natio di Don Bosco (maggio 2002) è stata tenuta a battesimo
da parte di don Silvio (mago Sales) un nuovo progetto denominato
»Magiciens Sans Frontières«.
2003 febbraio ETIOPIA
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