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Aiutiamo fratel Argese, missionario laico della Consolata, a ricostruire una diga per dare acqua e vita alle 250.000 persone dell’area di Mukululu nel Nyambene, Meru, Kenya.

Da parte di Padre Gigi Anatoloni, msissionario della Consolata e direttore della rivista "Missioni Consolata" di Torino, ci giunge la richiesta di aiutare l'opera fratel Argese, missionario in Africa.

E' questo il secondo progetto "Acqua, un bene prezioso" che la nostra Fondazione si impegna a sostenere per questo nuovo anno 2013.

Pubblichiamo qui di seguito l'interessantissimo articolo di padre Gigi.

Dare acqua

Quarant’anni di un impresa titanica che non finisce mai

Di Gigi Anataloni

Alla fine degli anni Sessanta nella regione vulcanica del Nyambene, Meru, Kenya, i Missionari della Consolata iniziarono un centro per bimbi polio. La polio era epidemica nella zona per mancanza di acqua e igiene. Da subito fu evidente che l’acqua piovana non poteva bastare per le necessità del centro. Occorreva acqua abbondante e continua. Il vescovo di allora chiamò un giovane fratello missionario, Giuseppe Argese, e gli diede un ordine semplice: trova l’acqua. La trovò in un’antica foresta pluviale a 25 chilometri di distanza. La foresta funzionava come una spugna, raccogliendo l’acqua dell’umidità e della rugiada, immagazzinandola nel terreno e restituendola poi goccia dopo goccia.

Piantato il campo a Mikululu, ai margini della foresta, a 2000 metri cominciò i lavori. Da lì partì la prima linea di acquedotto: piantò un vascone per raccogliere le gocce dai mille rivoletti della foresta, pose i 25 chilometri di tubi facendo scavi con zappe e pale, è arrivò a Tuuru, il centro per bimbi polio. Ma l’acqua non era più solo per loro. Tutti volevano acqua in quell’area dove le donne riuscivano a malapena a procurarsene una ventina di litri ogni due o tre giorni. Fu presto necessaria una seconda linea di acquedotto, una rete di punti di rifornimento (le fontane) a cui la gente potesse attingere, un sistema che garantisse la protezione della foresta, un gruppo di lavoratori per la manutenzione. A fine secolo erano 250.000 le persone abbeverate, oltre 250 chilometri l’estensione della rete, milioni i litri di acqua distribuiti ogni giorno.

Il tutto garantito da un lavoro fatto con pazienza, fatto senza grandi macchinari e con il coinvolgimento della comunità locale, con ritmi lenti ma continui. Per una vera rivoluzione sociale. L’acqua ha cambiato la vita. La polio è praticamente scomparsa, sono sorti nuovi villaggi attorno alle fontane, e scuole e centri di salute, e iniziative commerciali. Le donne non passano più la maggior parte del tempo a caccia di acqua, le bambine possono andare a scuola.

Ovviamente la raccolta goccia a goccia non poteva più bastare. L’osservazione e la raccolta dati di anni provava che durante le piogge la quantità d’acqua disponibile era incredibile. Il problema era raccoglierla e immagazzinarla in bacini, di modo da creare riserve per i frequenti periodi di siccità. Sono nate così delle dighe. La prima, a terrapieni costruiti sempre a mezzo di carriole e pale, con tecnologie semplici e collaudate. Poi la seconda, più grande, un bel laghetto nel verde della foresta, capace di garantire una riserva per un mese. Poi… la domanda essendo sempre in crescita, il nostro fratel Giuseppe, ormai non più giovincello ma provato dagli anni e dalla vita dura nella foresta, ha cominciato a sognare la terza diga per una riserva di almeno sei mesi (tenendo conto che anche recentemente ci sono stati periodi di siccità di oltre un anno!). Studiato attentamente il terreno, per valorizzarne al massimo ogni piega, finalmente nel 2011 sono cominciati i lavori, sfruttando al massimo i pochi soldi racimolati con fatica. Il sogno stava diventando realtà. La diga prendeva forma, il nuovo invaso si stava riempiendo, tutta l’acqua disponibile veniva raccolta.

Tutto ok, fino alla notte tra il 12 e il 13 ottobre scorso, quando una pioggia di inaudita violenza, 178 mm in poche ore ha riversato nel nuovo invaso un milione di metri cubi di acqua che hanno spazzato via come un mucchietto di sabbia la diga non ancora perfettamente finita e non completamente assestata. Due anni di lavoro paziente, migliaia e migliaia di euro di lavoro andati in fumo in poche ore. E fratel Giuseppe era a Nairobi, in ospedale, a farsi curare le gambe che ormai fanno fatica a portarlo su e giù per la foresta. A 78 anni non si ha più l’energia dei giovani, anche se il cuore non demorde. Ansietà, sconforto, scoraggiamento hanno tentato il nostro fratello. Con la tenacia dell’uomo di fede, ha ricominciato a lottare pronto a continuare un’opera che sa essere fondamentale per la sua gente. Senza acqua non c’è futuro. Per questo, senza gettare la spugna, è ancora là, solitario sui suoi monti e da là chiama a raccolta amici vecchi e nuovi per completare un’impresa che certamente gli costerà la vita.

Se potete, diamogli una mano a completare il progetto della terza diga, per immagazzinare acqua per almeno sei mesi, che assicuri la vita ad oltre 250.000 persone con almeno 10 litri al giorno a testa, senza contare gli animali, anche nei lunghissimi e sempre

 

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